Il regista Andrea Di Iorio ci racconta il suo “Senza Distanza”

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INTERVISTA AL REGISTA ANDREA DI IORIO PER IL SUO FILM “SENZA DISTANZA” IN CONCORSO AL PARMA INTERNATIONAL MUSIC FILM FESTIVAL

Un bed & breakfast con regole molto particolari. Un’esperienza psicologica per misurare il proprio amore. Il regista Andrea Di Iorio trova un’ambientazione originale per affrontare il tema delle relazioni a distanza.

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Presentato in anteprima al New York City Indipendent Film Festival, il film Senza distanza è ora in concorso al Parma International Music Film Festival che si svolgerà a Parma dal 10 al 25 settembre 2016.

Il regista di Campobasso, non ancora trentenne,  è già al suo sesto lavoro cinematografico ed è laureato in Arti e Scienze dello spettacolo all’ Università La Sapienza di Roma.

Come è nata l’idea di “Senza distanza”?

L’idea di Senza Distanza è la somma di più idee. Quella riguardante un bed & breakfast in cui ogni camera è la simulazione di una città del mondo mi è venuta al ritorno da un viaggio, dopo il quale mi è venuta voglia di girare un film all’estero.

Non potendolo fare, sono stato raggiunto dall’immagine di queste stanze con dei teloni finti oltre le finestre che avrebbero rappresentato le varie capitali, Londra, Parigi, Berlino e così via.

Nel frattempo, ascoltavo sempre più amici e conoscenti esprimere il desiderio di andare all’estero per lavoro e dichiarare allo stesso tempo la paura della solitudine che ne sarebbe conseguita, soprattutto nel caso di una relazione sentimentale stabile qui in patria.

Il problema lavorativo mi è sembrato quindi palesemente legato alla difficoltà di scindere una coppia già formata, spesso a causa di una dipendenza dall’altra persona.

Perché la coppia spesso è proprio questo, una relazione di dipendenza, che comporta dei sacrifici personali, anche professionali in certi casi, da entrambe le parti.

Unendo le due suggestioni, ho immaginato una specie di corso preparatorio per relazioni a distanza, secondo cui ogni membro di una coppia avrebbe dovuto chiudersi nella sua stanza-città e non avere contatto con l’altro per sperimentare quello che poi avrebbe provato una volta andato all’estero.

Poi, c’era già nella mia testa un’altra idea che avevo da tempo, quella di raccontare un tipo di stile di vita alternativo alla coppia.

Da anni mi chiedevo se il sistema monogamico fosse l’unico possibile per sperimentare l’amore, considerando che spesso si rivela fallimentare, specialmente per un motivo ricorrente: la presenza di una terza persona.

La mia passione per l’antropologia mi ha aiutato ad andare a ritroso nel tempo, leggendo e raccogliendo diversi studi a riguardo, e così ho scoperto che non solo la coppia non è sempre esistita e non è sempre stata data per scontata, ma anche che ci sono tuttora delle piccole società sopravvissute nel nostro mondo attuale in cui esistono forme alternative alle nostre relazioni e ai nostri matrimoni tradizionali.

Il tuo film racconta in modo originale la difficoltà dei legami sentimentali. Ma quali sono le vere distanze in una coppia?

Ho chiamato il film “Senza Distanza” perché le due coppie protagoniste sono il risultato di relazioni fusionali e di dipendenza reciproca in cui la distanza tra l’uno e l’altra è quasi annullata.

E invece la distanza è fondamentale, che sia di natura fisica o psicologica. La distanza fisica può venire a mancare in una convivenza: condividere trenta metri quadri con lo stesso partner, come dichiarato dai personaggi, può creare dei grossi problemi per via della mancanza di sufficiente spazio per la propria indipendenza.

La distanza psicologica, poi, viene messa a repentaglio in quelle relazioni in cui c’è volontà manipolatoria e di controllo da parte di un partner sull’altro, soprattutto a causa della gelosia, che in alcuni casi si rivela pericolosa.

Il motivo per cui si creano queste situazioni oppressive è spesso la paura della solitudine, per la quale si arriva a dei compromessi inverosimili.

Vediamo tante volte delle coppie al cui interno il sentimento e la sensualità sono esauriti, che però continuano a stare in piedi perché lui o lei hanno paura di vivere il resto della vita da soli.

La solitudine è però indispensabile. Ce ne vuole un po’ in ogni vita vissuta, proprio perché dopo che si è stati soli, distanti da tutti, avvicinarsi all’Altro diventa più spontaneo e più piacevole.

Hai avuto modo di presentare il tuo film in diversi festival all’estero. Come è stato recepito dal pubblico?

Il film ha avuto la sua anteprima mondiale alla settima edizione del New York City Indipendent Film Festival.

Dopo che è stato proiettato, lì nella sala a New York, a due passi dai teatri di Broadway, tutti hanno applaudito intensamente e più persone nel pubblico si sono complimentate per il fatto che il film non sembrasse così “indipendente” (eppure è stato girato in meno di dieci giorni con un microbudget), per il fatto che fosse ben realizzato e interpretato, e in molti mi hanno voluto rivolgere delle domande, inerenti soprattutto all’esistenza reale di quelle società, di cui si parla nel film, in cui si applicano sistemi diversi a quello della coppia.

A New York ho trovato una comunità di filmmaker provenienti da tutto il mondo in cui si è creato un sincero scambio di idee e pareri sul cinema che ha reso l’esperienza intera indimenticabile.

Il film poi è stato presentato al Melbourne Indie Film Festival, dove Lucrezia Guidone ha vinto il premio per la migliore attrice protagonista, e abbiamo ottenuto una nomination per la sceneggiatura e una per l’attore protagonista (Marco Cassini): lo considero un traguardo grandissimo, perché essere capiti e premiati in quello è quasi il luogo più geograficamente lontano da noi, a 16.000 chilometri da qui, vuol dire essere riusciti a raccontare una storia universale che può oltrepassare gli oceani e riguardare le vite e i sentimenti degli esseri umani da noi apparentemente più distanti.

Sito web: http://www.parmamusicfilmfestival.com

Facebook: http://www.facebook.com/#!/parmamusicfilmfestival?fref=ts

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