Il Miela offre per la serata della festa della donna una piccola sala con sedie spaiate, e un palchetto su cui ci sono alcuni oggetti a ricreare una stanza.

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Ci sediamo e in pochissimo tempo, le sedie ancora rimaste vengono occupate tutte, perfino la panca messa di traverso è in sovrannumero.

Un po’ di attesa e poi eccola, la figura di una donna che attraversa la platea e in un lampo è sul palco.

Ci rivolge un “ciao” grato e un po’ emozionato e ricambiamo il saluto con un applauso.

Laura Bussani, unica protagonista in “Cik Pausa”, ci accoglie raccontandoci un anneddoto.

Molto informalmente e amichevolmente, inizia a parlare dei suoi ricordi, di quando era piccola, in Polonia, dalla nonna, e, con il filtro della purezza infantile, racconta della quotidianità lì, anche degli aspetti più aspri.

Ed è con il pretesto di rappresentare lo spettacolo che lei e sua cugina preparavano per la nonna, che Laura dà una svolta alla serata.

Eccola, si mette uno scialle e inizia a parlare come sua nonna, Basha, in polacco.

E poi indossa un camice sbrindellato e il personaggio cambia ancora, e così avviene anche con una parrucca, un abito tradizionale cinese, un bastone…

Tanti personaggi, uno dietro l’altro, che l’interprete riesce persino a far interagire fra loro, collegati tutti dalla “sigaretta”: chi cerca di smettere, chi odia chi smette, chi cerca di crearsi distrazioni da essa e fallisce clamorosamente, chi è innamorata degli uomini che sanno di fumo, chi ha addirittura bisogno di una pausa tra una sigaretta e l’altra.

Il filo logico c’è ed è saldo, persino quando si verificano le situazioni più assurde ed esilaranti.

Ed il pubblico è incantato. Laura Bussani ironizza, infatti, su un “vizio” che lei stessa ammette di avere, e che condivideva, l’8 marzo sera, con almeno metà del pubblico in sala.

Come non ridere di cliché capovolti, rivisitati, originali, di gag e situazioni in cui ritrovi te stesso? E persino i non-fumatori ridevano, rievocando conoscenti o persino immedesimandosi. A dimostrazione di ciò, non passavano nemmeno due minuti senza almeno una risata.

Coinvolgente, ben curato, persino nell’accento dialettale triestino. L’ora di rappresentazione passava in fretta senza possibilità di annoiarsi.

Laura Bussani
Laura Bussani

Unico appunto: quando il personaggio di Ella Spritzgerald cantava, c’è stato un “rallentamento” nel ritmo dello spettacolo.

Ma Laura si è ripresa subito e ci è piaciuta anche nei panni della cantante, con una voce molto apprezzabile e una buona tecnica, seppure cercasse di nasconderlo per scherzare un po’ e prendersi in giro.

E se lo spettacolo si fosse concluso senza l’ultimo personaggio, Jessica, una ragazzina con il suo paio di cuffie, sarebbe stato uno spettacolo allegro, leggero, che avrebbe regalato buonumore ai presenti, ma senza scendere in profondità.

E invece, Jessica dona quella nota amara al tutto di cui c’è bisogno perché uno spettacolo sia ricordato: ci troviamo faccia a faccia con un muro fatto di disillusione, di vicoli ciechi, di abbandono e di

se va bene farò la disoccupata, da grande

Ma non per questo il tutto diventa pesante, perché l’interprete ci regala la possibilità di pensare in un secondo momento, mettendosi a cantare -stavolta seriamente- in polacco, una delle hit di fine anni Settanta in Polonia, “Kawiarenki”.

E, dedicando il tutto a sua nonna, Laura ci saluta e va a fumarsi la sua meritata sigaretta.

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