Fino al 7 gennaio al Teatro de’ Servi è in scena I 39 scalini e dovete assolutamente correre ad accaparrarvi il biglietto! Non solo perché il testo è esilarante, non solo perché è splendidamente concepito, ma soprattutto perché mette in campo un quartetto affiatato di attori giovani, bravi, divertenti e perfettamente azzeccati per ogni singolo personaggio incarnato.

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Tratto da un romanzo d’appendice del 1915, Hitchcock ne ricava un film, datato 1935, che è un piccolo capolavoro del genere noir, come lo definisce lo stesso Orson Welles.

Mentre Robert Towne ritiene la pellicola del maestro del brivido il principio dell’escapist entertainment contemporaneo, tanto che il West End se ne appropria e ne fa uno show di grande successo, in un classico stile inglese misto di battute sardoniche e comiche rocambolesche, dove un cast di soli quattro attori ricopre ben quaranta ruoli nell’arco di due ore.

La trama di I 39 scalini, arricchita rispetto al romanzo di alcuni personaggi femminili e di un paio di ambientazioni teatrali che ne amplificano il coinvolgimento del pubblico, è alquanto scontata e confusionaria, ma è proprio su questo gusto del divertissement con tanto di spie e intrighi internazionali che si gioca (è il caso di dirlo con una stretta aderenza al termine inglese play) tutta la vicenda.

Hannay è il protagonista che, in un vortice di donne fatali, inseguimenti pirotecnici, tentati omicidi, cadaveri e spie naziste, giunge al lieto fine accompagnato dalla simpatia di tutto il pubblico, che prova naturalmente un sentimento di empatia per le sue vicissitudini sfortunate nel viaggio da Londra alla Scozia e ritorno.I 39 scalini

La scena, per questo allestimento ideata da Paolo Carbone, è essenziale, svuotata di ogni orpello verosimile, a partire dalle quinte.

Somiglia quindi ad uno spazio più cinematografico che teatrale in cui, per ogni diverso quadro, è la luce a “tagliare” l’inquadratura più adatta. Così gli oggetti, semplici, economici e a volte quasi banali, sono impiegati in maniera originalissima per dare corpo alle diverse ambientazioni, sono reinventati dal regista in mille modi differenti, dando l’impressione di un allestimento mirabolante (con tanto di effetto nebbia e di aeroplano) al cui centro di gravità si attesta proprio il talento trasformistico degli interpreti, amplificato dalla sintonia con luci, suoni ed effetti speciali curati da Pietro Frascaro.

Questa scelta (forse obbligata dall’esiguità dei fondi disponibili in cui versano gli artisti di teatro oggi) è comunque la prova che la qualità può essere raggiunta anche e soprattutto attraverso la fantasia, l’estro, il talento e la professionalità, anche in assenza di una produzione milionaria. A Leonardo Buttaroni, il regista che ha dato vita a questo show, già vincitore di numerosi premi, va il merito di una inventiva costante, mai fine a se stessa, di un controllo attento dell’equilibrio generale, sempre gestito con classe.

Attorno a lui splende un quartetto di attori ironici, istrionici e, non da ultimo, atletici che hanno l’abilità di far ridere, senza mai scadere nella battuta volgare, di stupire e, soprattutto, di incarnare una carrellata di personaggi differenti, ma sempre perfettamente a fuoco.

Marco Zordan è l’unico che veste i panni del protagonista, senza cambiarli mai. Ma lo fa con una sincerità espressiva, con un candore e un atteggiamento aderente al ruolo del “buono”, che, anche grazie al suo aspetto fisico, sembra ricordare in molte pose il giovane Gene Wilder.

Gli altri tre, turbinosi trasformisti nell’abito e negli atteggiamenti, toccano picchi di perfetta comicità: Alessandro Di Somma è irraggiungibile sia nei panni del sorridente quanto vacuo Mr Memory che in quelli della spassosa e ubertosa contadina scozzese; Diego Migeni sa essere seducente (e credibile) sia come gelido professore, antagonista di Hannay, sia come Pamela, delicata coprotagonista femminile; infine c’è Yaser Mohamed che è fra tutti il più poliedrico, anche grazie a una fisicità elastica cui corrisponde una duttilità scenica sorprendente, di lui fa ridere – e tanto – non solo Annabella Smith, ma anche l’anziana albergatrice e il giudice doppiogiochista.

Di talento, insomma, ce n’è a vagonate, non da ultimo la capacità di avvicinare la comicità di stampo anglosassone alla nostra, ma senza tradire nulla di entrambe. E se è vero che il mondo è fatto a scale, non perdetevi proprio questi I 39 scalini perché sarebbe un vero peccato!

 

Glicine Produzioni presenta

I 39 scalini

di John Buchan

regia di Leonardo Buttaroni

adattamento di Patrick Barlow

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