26 Aprile 1986, 34 anni fa l’esplosione nel reattore della Centrale nucleare di Chernobyl. Gli eventi accaduti da quella sera in poi sono ben testimoniati dall’omonima miniserie HBO del 2019, che porta sullo schermo la verità di quanto accaduto e della gestione della catastrofe da parte del governo.
Un disastro che rischia di continuare a causare ulteriori pericoli a causa degli incendi che stanno lambendo i boschi della zona e che sono pericolosamente vicini al sito dove sono depositate scorie dell’incidente.
Per capire l’entità delle possibili conseguenze di un ulteriore propagarsi basterebbe quindi guardare anche solo una delle puntate della serie.

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Alcune cose che ho imparato da Chernobyl in tempi di quarantena.
Eh sì, non poteva iniziare diversamente una riflessione che magari giunge in ritardo rispetto alla messa in onda della serie ma che sorge spontanea anche solo dopo la visione di appena due episodi su cinque.

Qual è il prezzo delle bugie? Non che le confondiamo con la realtà. Il pericolo è che abbiamo ascoltato così tante bugie da non riconoscere più la verità

Chernobyl, fiore all’occhiello di HBO

Per quei pochi che ancora non conoscessero le serie, ecco qualche cenno.
Chernobyl è una serie HBO, emittente televisiva via cavo e satellitare. La serie è ispirata al romanzo “Preghiera per Chernobyl” di Svetlana Aleksievič (recentemente ospite di PordenoneLegge e di cui si è parlato qui) e al saggio “Chernobyl 01:23:40” di Andrew Leatherbarrow.
Al netto del premio vinto agli Emmy per la miglior miniserie (oltre ai premi assegnati ai Golden Globe e ai Grammy), si può dire che Chernobyl sia una delle serie tv più drammaticamente e suggestivamente meglio riuscita degli ultimi anni.

La serie inizia con un evento tragico, una testimonianza audio a cui è affidata la confessione della scelta, due anni prima, di individuare nel responsabile della Centrale in servizio la sera dell’incidente un capro espiatorio a cui imputare la colpa di quell’evento che è stato il disastro di Chernobyl, avvenuto il 26 aprile del 1986.
Chernobyl, straordinariamente impattante ancora adesso nella vita degli europei.
Un capro espiatorio che venne condannato a dieci anni per negligenza criminale.

“Abbiamo la situazione sotto controllo”

Varie però le riflessioni che emergono lampanti soprattutto nel periodo storico che stiamo vivendo.

Oltre ai danni umani, sanitari e sociali, che si possono notare ad esempio nel fare avvicinare i soccorsi praticamente a mani nude e senza le benché minime protezioni, ciò che ha reso ancora più tragica la calamità vissuta è il ridimensionamento e la sottovalutazione del pericolo.

Sì, c’è da dire che erano altri tempi e un diverso periodo a livello politico ma emblematica è una delle battute all’inizio del primo episodio.

Andrà tutto bene

Dice alla moglie un vigile del fuoco mandato allo sbaraglio a combattere in prima linea contro l’incendio sviluppatasi nella centrale di C.

Probabilmente chi pronuncia la frase ci crede veramente ma altrettanto chiaro è il dubbio, che si trasforma in certezza, che nulla in realtà poi vada bene.

La carenza di comunicazione di chi era incaricato di gestire la situazione,- e quindi di fornire informazioni in modo pratico e puntuale sia ai piani più alti che ai cittadini, che pagarono il prezzo più alto e che vennero evacuati dai territori limitrofi alla centrale solo qualche giorno dopo l’esplosione.

“Mi assicurano che non ci sono problemi”

Il non voler vedere la gravità della situazione, il minimizzare, il non voler far uscire dai confini della cittadina e della nazione l’emergenza è una tecnica di cattiva comunicazione che ha reso ancora più disastrosa la tragedia e fa emergere un’altra cosa: la conferma che la scienza e la competenza professionale in primis (e scientifica/fisica in questo caso) sono sempre un gradino più in basso rispetto agli interessi politici.

Un altro elemento che si può evidenziare è il concetto di “fare disinformazione” per cui chi è in torto cerca di censurare colui che prova a raccontare la verità.

Ciò è correlato, ed emerge in modo lampante, nella questione/fenomeno dello ‘scaricabarile’, l’importanza di dare la colpa sempre a qualcun altro.

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