La grande notte hollywoodiana è quasi qui e ormai tutti i giochi sono fatti, i voti contati e le campagne pubblicitarie finite: non resta che aprire la busta di miglior film – ammesso che sia quella giusta.
And the Oscar goes to … Shakespeare in love. Quando mi volto indietro a riguardare la storia degli Oscar questa è sicuramente una delle vittorie che mi lascia più perplessa: il filmetto del 1998 che il mondo ha ormai dimenticato e che quell’anno inspiegabilmente portò a casa un enorme numero di premi tra cui miglior film.
Quello tra cinefili e Oscar è da sempre un rapporto amore/odio: odio perché si è dolorosamente consapevoli che le scelte dell’Academy sono spesso pilotate da interessi terzi rispetto alla pura arte, amore perché nonostante pretendiamo di essere superiori ai tappeti rossi, tutti vogliamo inconsciamente vedere trionfare l’arte che amiamo, anche se in modo vacuo e superficiale come vincere una statuetta d’oro.
Tra tutti i premi Oscar, quello a miglior film è quello che nel tempo conta di meno. Anzi, può addirittura danneggiare la memoria che abbiamo di un film. Shakespeare in love è un film alquanto innocuo, diventa pessimo quando qualcuno pretende che lo si ricordi come un capolavoro.
Ma mettendo da parte tutto questo nonsense – comprese gli infiniti giri sulla giostra delle polemiche a cui i film in nomination sono ogni anno sottoposti – addentriamoci nei pronostici considerando un fatto: tra dieci anni i titoli che ricorderemo del 2017 probabilmente non avranno vinto miglior film, alcuni probabilmente nemmeno candidati (The Florida Project e Blade Runner 2049 per fare un paio di esempi).
MIGLIOR FILM
- Chiamami col tuo nome
- L’ora più buia
- Dunkirk
- Scappa – Get Out
- Lady Bird
- Il filo nascosto
- The Post
- La forma dell’acqua – The Shape of Water
- Tre manifesti a Ebbing, Missouri
Se volete scommettervi la casa i vostri cavalli sono sicuramente due: La forma dell’acqua e Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Ma a differenza dell’anno scorso, dove avevamo lo strafavorito La La Land contro l’underdog Moonlight che avrebbe potuto soffiagli la vittoria solo all’ultimo (ah, quando la vita imita l’arte), in quest’edizione non sembra esserci un contendente in netto vantaggio.
La forma dell’acqua
Da alcuni sondaggi fatti sul pubblico La forma dell’acqua è uscito come assoluto vincitore. Ma se il gusto popolare si è espresso in favore del film in testa con le nomination (ben 13), quasi sicuramente Del Toro ha già il suo nome inciso su un Oscar per miglior regia è questo abbassa di molto le possibilità miglior film.
È rarissimo infatti che l’Academy – che crede nel socialismo della statuetta: ridistribuizione equa dei premi tra i film – consenta la doppietta dei due premi più corteggiati. Inoltre La forma dell’acqua è un film di genere, che tradizionalmente l’Academy non premia a miglior film: troppo poco seri tutti questi bididi bodidi bù fantasy. (i miei colleghi nerd ricorderanno che fatica fu per Il signore degli Anelli vincere quell’Oscar).
Senza contare poi le recenti accuse di plagio rivolte al film da diverse provenienze e che, come ha commentato lo stesso Del Toro, sono arrivate con una tempismo che se non vogliamo chiamare sospetto, diremo dannoso. Una di queste accuse si è anche adesso trasformata in una denuncia che Fox Searchlight sta combattendo prima di tutto sui giornali, cercando di convincere l’Academy della tesi ‘innocente fino a prova contraria’.
Tre manifesti a Ebbing, Missouri
Tre manifesti dall’altra parte è un film che rispetto a La forma dell’acqua ha diviso molto di più nella sua ricezione: è difficile ascoltare chi predica i molti pregi di questa pellicola e chi ne sottolinea i troppi difetti senza ritenere che la ragione stia un po’ da entrambe le parti.
Questo è uno di quei film che è forse troppo presto da giudicare: tra una o due decadi probabilmente voltandoci indietro saremo tutti più d’accordo se è un classico o un graziosa vuota pellicola. Intanto però nel dubbio diamogli un Oscar.
E se Tre manifesti ha già vinto un Golden Globe e un BAFTA, La forma dell’acqua ha dalla sua un Leone d’oro e un Critics Choiche Awards. Tutte giurie che contano, divise anche loro. Insomma, magari non scommettetevi la casa.
Gli Oscar stanno cambiando
Ad aumentare questa confusione si aggiunge anche il recente ricambio generazionale che si è verificato nell’Academy: dopo quella catastrofe mediatica che è stato #Oscarsowhite nel 2016, si è verificato un massiccio mutamento negli aventi diritto al voto che ha svecchiato e diversificato la composozione dell’Academy (che sì, prima era per la maggior parte un gruppo di vecchi uomini bianchi che si premiavano tra loro. Adesso invece sono diversificate celebrità che si premiano tra loro).
L’impatto di questo cambiamento si è sentito già in parte l’anno scorso, ma in questa edizione è particolarmente evidente: nomination così sarebbero state impensabili ai tempi di Shakespeare in Love. (Sì, continuo adavere un’antipatia profonda per quel film).
Dunkirk
E in un modo forse ancora più evidente, anche il Dunkirk di Nolan ha diviso. In questo caso come in quello di Tre manifesti l’idea di premiare un miglior film nello stesso anno della sua uscita mostra tutti i suoi ridicoli limiti: non abbiamo prospettiva per giudicare queste opere se non le nostre immediate e spesso viscerali prime reazioni.
Date tempo all’esperimento cinematografico di Nolan, potrebbe tanto cadere nel dimenticatoio di un cinema troppa estetica e poca narrazione quanto aprire nuove strade e sviluppi per un genere esausto come il war movie.
E nel caso di Nolan va fatto notare che sembra esistere un circolo di persone che l’Academy semplicemente non ama – Di Caprio e Gyllenhaal per esempio – e le ultime edizioni hanno dato l’impressione che anche il regista inglese faccia parte della gang.
The post, L’ora più buia e Il filo nascosto
E poi ci sono film che avevano una nomination ancora prima di venir rilasciati, anche se hanno una possibilità di vittoria virtualmente nulla: il dramma storico su Churchill che rientra perfettamente nei gusti dell’Academy, il cinema raffinato e psicologico del Paul Thomas Anderson de Il filo nascosto e ovviamente Spielberg.
Tra tutte quella di The Post spicca poi come la più chiara e sfrontata affermazione politica dell’Academy e più in generale di tutta quell’Hollywood che si presenta almeno in teoria come il caposaldo progressista del paese (anche se poi in pratica …).
Se aveste ultimamente dato un occhio oltreoceano vi sarete resi conto del clima tossico che in questo momento si vive negli Stati Uniti, tanto in politica quanto in ogni forma media. Il Donald è una presenza ingombrante che riempie ogni discorso.
Quindi Spielberg mette su in velocità, giusto tempo per gli Oscar, un film che almeno nella sua sinossi parla dello scandalo dei Pentagon Papers che travolse Nixon prima di Watergate, ma che in realtà è un manifesto sulla libertà di stampa e un dito puntato contro l’amministrazione Trump e la sua continua denigrazione dei liberi media (fake news, folks!).
Senza contare poi il sottotesto ‘girl power’ che permea tutta la pellicola e si presenta particolarmente rilevante adesso, in questi tempi di scandali sessuali, in cui il mondo sembra essersi improvvisamente ricordato che la disuguaglianza di genere è un fatto ancora molto reale.
Anche se quell’inquadratura di Meryl Streep che attraversa vittoriosa una folla di donne poteva essere abbondantemente risparmiata: Spielberg, un po’ più didascalico no? Il risultato è un prequel di Tutti gli uomini del presidente con enorme potenziale, ma che finisce per dire qualcosa solo adesso, a noi che ne intuiamo i riferimenti al corrente clima polito. Tra vent’anni dubito. Un film di Spielberg girato in fretta è comunque un buon film, ma non uno di quelli che ricorderemo.
Get Out
In ultimo è rimasta la tripletta indie: Get Out, Lady Bird, Chiamami col tuo nome. E adesso dobbiamo aprire una parentesi sulle modalità del voto per miglior film. Perché se anche Lady Bird e Chiamami col tuo nome hanno chance vicine allo zero virgola, la pellicola successo di critica e pubblico Get Out potrebbe avere una possibilità di essere il Moonlight di quest’anno.
La votazione per miglior film infatti avviene in modo diverso rispetto a tutte le altre: non semplicemente indicando il proprio voto, ma stilando liste preferenziali e assegnando conseguenti punteggi che poi vengono sommati. Questo significa che se un film è costantemente tra i primi tre posti di tutte le liste può avere più possibilità di un film che si trova al primo posto per alcuni e in fondo per altri. (Si ipotizza sia successo questo a La La Land: per alcuni era al primo, altri l’hanno piazzato ultimo solo per lo sprezzo di non farlo vincere).
Get Out quest’anno è quel nome che potrebbe generalmente stare in cima, infatti oltre ad aver riscosso un consenso quasi generale nell’industria, è riuscito nella missione più importante per vincere un Oscar: far parlare di sé. La pellicola ha infatti avuto la sua uscita americana nel febbraio scorso, mese in cui nessuna casa di produzione che mira agli Oscar rilascia un film: è notissimo infatti che molti titoli non arrivano alla nomination semplicemente perché sono stati dimenticati, persi nel mare delle uscite dei successivi dodici mesi. Gli Oscar sono un premio per film usciti tra ottobre e dicembre.
Get Out invece è stato rilasciato addirittura prima della cerimonia degli scorsi Oscar e per nemmeno un secondo è stato dimenticato, tanto dalla stampa quanto dalla critica che dal pubblico. Già solo questa è una bella conquista che forse preannuncia la prospettiva di una possibile longevità del film, almeno nel regno della pop culture. Mica Shakespeare in love (ho finito, lo giuro).
Questo ragionamento però rimane valido se si dà per scontato che l’Academy si disturbi a guardare tutti i film in nomination, cosa che a noi mortali pare scontata nell’assegnare il premio più ambito del cinema, ma che negli anni – e anche in questo pare – si è dimostrata non così assodata.
Lady Bird e Chiamami col tuo nome
Invece gli atri due ambasciatori indie hanno scelto di far parlare di sé nel modo peggiore possibile: aggressiva campagna mediatica, una tattica che spesso finisce solo per alienare l’Academy. Lady Bird e Chiamami col tuo nome erano onnipresenti: ogni tappeto rosso, ogni talk show, ogni magazine.
In parte questo è dovuto a quelle stelle nascenti che sono Ronan e Chalamet e di cui tutti vogliono un pezzo, in parte all’effetto indie: gli studio che comprano pellicole al Sundance a gennaio o ad altri festival indipendenti spendono milioni di marketing per pomparle fino agli Oscar a febbraio dell’anno dopo e vogliono vedere ritornare questo investimento.
Dopotutto l’industria dell’intrattenimento è per prima cosa questo: un’industria. Però facciamolo con classe: volete un Oscar, abbiamo capito ragazzi.