Ormai ci siamo. Anche voi umani potrete finalmente vedere Blade Runner 2049 da domani nei cinema di tutta Italia. Noi che siamo un po’ meno umani l’abbiamo visto in anteprima e vi raccontiamo qualche sensazione a caldo.

Uno dei film più attesi dell’anno, dopo aver ammirato l’ultimo di Christopher Nolan, è proprio il sequel del film cult Blade Runner. 35 anni dopo in cabina di regia c’è Denis Villeneuve, regista e sceneggiatore canadese al nono lungometraggio con Ridley Scott nei panni del produttore.

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C’eravamo lasciati nella Los Angeles distopica del 2019 dove i replicanti programmati per vivere quattro anni, fungono da forza lavoro ma solo nelle colonie extra-terrestri. Sei di loro decidono di ribellarsi e scappano dalla colonia per cercare di raggiungere il loro creatore, il capo della Tyrell Corporation.

A mettersi sulle loro tracce è Rick Deckard/ Harrison Ford, il resto è storia.
Stavolta nei panni del Blade Runner, nonchè protagonista assoluto del film, c’è Ryan Gosling. Non una prestazione memorabile quella di Ryan, sebbene, vista la non enorme varietà di espressioni cui ci ha abituato, i panni del replicante sembrino comunque fatti apposta per lui.

Stavolta è compito suo, nome in codice K, a stanare gli ultimi replicanti e mentre si imbatte in uno di questi sembra aver fatto una scoperta che potrebbe far vacillare gli equilibri del mondo. Non dirò molto di più sulla trama, è lo stesso regista che lo chiede. La schermata che ci accoglie in sala in questo è molto esplicita.
Vi dirò della sensazione generale che ho avuto. Dei punti di forza del film e cosa non m’ha entusiasmato.

I PUNTI DI FORZA

Si parte subito bene perché la prima impressione, poi alimentata durante tutti i minuti del film è che il fattore nostalgia non abbia avuto la meglio, tutt’altro. Non c’è traccia di una voglia spasmodica di aggiornare la trama così da accalappiare a tutti i costi i nuovi teen. Il tema forte del film è nelle domande che costantemente i personaggi in ballo si pongono. Domande sul senso reale del mondo, il confine che c’è tra reale e non.

Il ricordo come tassello fondamentale della propria identità. La memoria quindi come discrimine tra umani e non.
Siamo di fronte ad un cinema potente ma non “muscolare” (sebbene scene di lotta non manchino).

Un film ambizioso, estetizzante e che resta sempre in bilico tra noir e thriller conservando una forte complessità tematica. Ammaliante la fotografia di Roger Deakins, così come lo sono le musiche di Benjamin Wallfisch, chiamato nel difficile compito di far dimenticare quelle di Vangelis.
La ricostruzione post apocalittica è impeccabile ed ha il merito di farti viaggiare in un mondo che sembra essere esistito realmente. Eccoci di nuovo a parlare di reale. Tutto il film ci gioca. Repliche, identità e ologrammi (da incorniciare la scena dell’incontro non proprio amichevole tra K e Deckard nel teatro tra una apparizione di Elvis e Marylin).

Replica e originale che si saldano e sovrappongo possono forse creare qualcosa di davvero nuovo e unico?

COSA NON CONVINCE

Il lato dolente è forse il ritmo, qui come nell’illustre predecessore non entusiasmante, unito ad un minutaggio che rischia d’essere un po’ estenuante per molti. Nel gioco tra prequel e sequel anche le prove fornite dagli interpreti non sono appannaggio del nuovo Blade Runner.

Già detto di Gosling, neppure l’apparizione di Harrison Ford lascia il segno a meno che non si sia fan ad oltranza. Non male davvero invece la prova di Ana de Armas in un ruolo niente affatto semplice tra incanto, speranza e sensualità. Si salva egregiamente pure Jared Leto in un ruolo in cui il regista avrebbe visto bene David Bowie come prima scelta.

Una scelta che sarebbe stata persino più intrigante per mille motivi eppure sciaguratamente impraticabile.

CONCLUSIONI

Non grido al miracolo eppure mi sono goduto uno spettacolo abbondantemente sopra la media. Affascinate e da consigliare.

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