Daniel Melingo, l’artista argentino incanta La Sapienza

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Daniel Melingo è un musicista e un interprete di indiscusso talento. Ma è soprattutto un uomo che sa coinvolgere il pubblico, stupirlo, affascinarlo: in poche parole un uomo di scena. Se si ascolta il suo ultimo album Andà e si mette a confronto con il programma del concerto eseguito per l’Istituzione Universitaria Concerti tutto questo appare immediatamente chiaro. Il cd è ricco di effetti, perfettamente equilibrato, pieno di arrangiamenti forse anche più elaborati di quelli eseguiti dal vivo e certamente la vocalità ne guadagna in ampiezza e morbidezza.

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Tuttavia la prova dal vivo di Melingo e dei suoi quattro valenti musicisti è un’esperienza unica, che non lascia spazio se non al coinvolgimento e all’immersione nella sua stravagante estetica musicale: variegata eppure coerente, di certo mai scontata.

Lo spazio dell’aula magna dell’Università La Sapienza, nonostante la magnificenza del grande dipinto murale di Mario Sironi “L’Italia fra le Arti e le Scienze”, realizzato nel 1935 in occasione dell’inaugurazione della Città Universitaria e finalmente tornato alla luce dopo i restauri, non è sufficientemente teatrale per lo show ed è privo di effetti di luce e dell’atmosfera più rilassata dei locali di jazz che forse si prestano meglio a un repertorio così particolare.

A Daniel Melingo, però, non importa.

Lui sfrutta tutto lo spazio a disposizione, spesso finendo fuori luce, fuori campo, fuori palco: esce dalle porte come fossero scenografie, lancia calzini sul pubblico, si nasconde fra i musicisti, si trascina dietro l’asta del microfono come un bagaglio. Cammina ricordando Chaplin o qualche personaggio felliniano, in poche parole incanta e stupisce, con qualche gesto che può apparire semplice ed è invece carico di emozione.

Un’emozione che nasce dalle note dei tanghi di Armando Pugliese ed Edmundo Rivero, dalla rumba scatenata di Terig Tucci e immortalata da Carlos Garde, così come dai brani di Satie o di Gainsbourg, rivisitato attraverso lo specchio anglofono di Mick Harvey. Tutto è sapientemente organizzato, brano dopo brano.

Complici di questo viaggio musicale sono quattro eccellenti musicisti di diversa nazionalità – Muhammad Habbibi Guerra (chitarra elettrica, voce), Lalo Zanelli (pianoforte, voce), Romain Lecurier (contrabbasso, voce) e Facundo Torres (bandoneon, voce) – che scherzano e si divertono cantando e suonando con lui. Daniel Melingo li tiene stretti a sé con la sua interpretazione ironica: possiede un timbro roco, caldo e fumoso, ma sempre incredibilmente vibrante che mette completamente a disposizione del testo, sacrificando la chiarezza del colore vocale alla comprensione della parola, centro vivo del racconto.

Esita e si attarda soprattutto sulle consonanti che appaiono, così, simili ai suoni emessi dal contrabbasso o dalla chitarra elettrica. Viaggia sulle suggestioni musicali che spaziano dal jazz-folk ai ballabili, dalla canzone d’autore come Volando Entre Las Nubes fino a testi infantili (En Un Bosque de la China).

Tuttavia dà il meglio di sé sui tre brani più originali: Gnossienne, Espiral e Anda.

Il primo è ripreso da Satie, ma suona in questo arrangiamento come un pezzo balcanico, con i glissando e i pizzicati che sembrano ricordare perfino un sirtaki, mentre il secondo ha una melodia che viene divisa fra canto della voce e risposta del bandoneon, lasciando però a quest’ultimo il ruolo di vero protagonista.

Ma è con il terzo che azzarda di più, sconfinando nel rock per l’uso del tessuto strumentale, su cui le parole, pronunciate in un registro esageratamente grave, danno l’impressione di un racconto antico e misterioso.

Una storia musicale, quella di Melingo, che vale la pena di ascoltare con attenzione.

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