E anche quest’anno ce lo siamo tolto… no, diciamolo meglio: anche quest’anno abbiamo celebrato l’inno alla pace, al glitter e alla geolocalizzazione strategica dei voti. Con un tocco di poesia e prese di posizione che faranno parlare anche dopo, in altre sedi.

Basilea ha chiuso le danze, le piume, le note e le diplomazie canore con la finalissima dell’Eurovision Song Contest 2025. E mentre l’Europa e mezza Asia votavano compulsivamente via app, l’Austria si è portata a casa il trofeo. JJ, con il suo brano “Wasted Love”, ha vinto con 436 punti. Se vi state chiedendo com’era la canzone, possiamo dirvi che suonava come se Beethoven avesse scoperto il rave, e pare abbia convinto pubblico e giurie a farlo re del continente, almeno per una notte.

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Dietro di lui, Israele ha preso la medaglia d’argento, mentre il resto della classifica ha fatto il solito slalom tra colpi di scena e quote da scommesse clandestine. Ma noi, qui, parliamo di cose serie: parliamo di Lucio Corsi.

L’Italia, quest’anno ha avuto il coraggio di mandare sul palco un artista che ha portato poesia, estetica visionaria e un messaggio sociale limpido ma non urlato. Il suo brano “Volevo essere un duro” è stato una carezza glam-rock che, con le patatine nelle spalline, parlava di bullismo, mascolinità tossica e del coraggio di non averne, almeno non nel modo in cui te lo insegnano in palestra o ai parcheggi del centro commerciale.

Nessuna rabbia da palco, nessun urlo catartico: solo bellezza, malinconia, fragilità esibita come se fosse la nuova moda primavera/estate. E a giudicare dal risultato (quinto posto!), pare che l’Europa abbia apprezzato il fatto che si può parlare di cose importanti anche senza effetti speciali che esplodono a tempo di beat.

Tra le highlight della serata: l’omaggio a Céline Dion, che trentacinque anni fa vinceva proprio per la Svizzera e ieri ci ha ricordato come si fa ad avere voce e spalle scoperte al vento senza battere ciglio. (Fino all’ultimo si sperava in una sua comparsa sul palco, ma date le sue condizioni di salute, nulla può dirsi certo).

I look, ovviamente, hanno spaziato dal “stavo andando al supermercato e poi mi sono perso in un musical post-apocalittico” al “sono vestito da razzo spaziale per motivi che neanche io conosco”.

Se il buongiorno si vede dal mattino, dal secondo Zero, in Spagna, con garbo, ma anche con determinazione la televisione pubblica spagnola RTVE, apriva la diretta con un messaggio silenzioso ma eloquente:

In doppia lingua, per essere sicuri che fosse chiaro a tutti. Una presa di posizione chiara, che ha sfidato le imposizioni dell’Unione Europea di Radiodiffusione (che quest’anno era più nervosa del solito), e che ci ha fatto ricordare che sì, Eurovision è anche politica, ed è anche coscienza. O almeno, lo può diventare quando qualcuno ha abbastanza coraggio per ricordarcelo, anche sotto le luci psichedeliche e i coriandoli.

E ora, come da tradizione: arrivederci, grazie per la pace, l’amore e le coreografie. Appuntamento al prossimo anno, quando tutti fingiamo di non sapere chi vince finché non arrivano i voti da San Marino.

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