Il Festival dei Due Mondi è un appuntamento affascinante e prendervi parte è un piacere molteplice: per la programmazione artistica, per la buona cucina, per le bellezze naturali e cittadine. Spoleto presta i suoi angoli più suggestivi per far godere al pubblico tutti gli eventi realizzati dalla direzione artistica di Giorgio Ferrara. Anche quest’anno la presenza è dovuta, almeno nel ristretto tempo di una giornata, per due spettacoli imperdibili: La ballata della Zerlina e Berlin Kabarett.

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Quel che rende esclusiva la programmazione del Festival non è solo la location. Suggestive le chiese sconsacrate trasformate in teatri, scenografia naturale di grande impatto emotivo, ma anche gli spazi ufficiali e persino gli scarni cortili monastici destano meraviglia. Però è soprattutto la possibilità di osservare da vicino artisti eccellenti, miti del cinema e delle arti che seduce. Quest’anno, oltre alla incredibile Adriana Asti, spesso ospite del Festival, Marisa Berenson e Lucinda Childs fra gli altri hanno dato un tocco di mondanità internazionale, completata da artisti forse meno noti eppure altrettanto talentuosi.

Peccatuccio veniale aver mancato l’Esodo di Emma Dante che era già tutto esaurito: un po’ perché il frutto della sua ricerca lo si può trovare facilmente anche durante le programmazioni invernali in giro per l’Italia; un po’ perché la Dante non stupisce più: merita una ammirazione di fiducia e di stima per quanto realizzato, ma il futuro sembra essere passato in altre mani.

Alle 19 allo storico Caio Melisso va in scena “La ballata della Zerlina”. Nell’attesa che il teatro spalanchi le porte, non manca una piccola sosta alla Chiesa della Manna d’Oro. Qui si può vivere un’esperienza divertente di Intelligenza Artificiale grazie alla Fondazione Carla Fendi: NEURAL MIRROR è una installazione che percepisce l’ambiente circostante ed è in grado di riconoscere le generalità delle persone decodificandone le emozioni. Le interfacce specchianti trasformano i volti dei partecipanti in un flusso di informazioni, ne rielaborano le immagini in tempo reale, trasformando il tutto in un alter ego digitale.

Festival di Spoleto – La ballata della Zerlina

Preludio interessante per la “Ballata della Zerlina”.

Il rapporto con la contemporaneità caratterizza infatti anche l’allestimento del testo di Hermann Broch che ha come protagonista Adriana Asti. In questo spettacolo trovano spazio (ed equilibrio) tre artiste che hanno lasciato un segno distintivo nel nostro immaginario contemporaneo. Se la Asti è a noi più nota, soprattutto per le sue numerose apparizioni cinematografiche e televisive, non si può dimenticare che Lucinda Childs, regista e performer accanto a lei, ha dato vita insieme a Robert Wilson e Philip Glass al mitico Einstein on the beach, per citare solo la punta di quell’iceberg che è stata la sua carriera. A completare la triade è Pat Steir, pittrice americana conosciuta per i suoi dipinti astratti, in particolare per “Waterfall“, iniziati negli anni ’80, che qui accompagnano la drammatizzazione come fossero uno sfondo emotivo alla vicenda. Attimi fissati sulle tele, ma allo stesso tempo in costante mutazione, proprio come la vita narrata avidamente dalla cameriera, o come l’esistenza di ogni uomo.

In un clima di sospensione temporale, flashback sussurrati, azioni stilizzate, la parola fluisce grazie alla sola voce della anziana Zerlina di Adriana Asti, piena di toni cupi o divertiti, maliziosi o tardivamente erotici. Si tratta di una messinscena piena di interrogativi: è ella forse un fantasma della più antica serva di Da Ponte? Una sua pronipote? Tuttavia assai più inquietante è l’atteggiamento dell’altra/o che incarna un silenzioso personaggio. Chi è l’altro? Un casuale ascoltatore? Anch’egli un fantasma del passato? Oppure uno strumento presente di vendetta? Nell’indistinto vortice degli accadimenti, non ci è dato conoscerne l’identità: si ipotizza, ma senza certezze. Proprio come l’esistenza di cui Zerlina è vittima e carnefice.

Il tripudio di applausi e di sincero affetto accompagna la chiusura del sipario per una delle attrici più benvolute e amate del Festival.

Festival di Spoleto – Berlin Kabarett

Berlin Kabarett è invece tutt’altra cosa. Pur essendo ambientato nel passato, lo spettacolo ideato da Stéphan Druet immette lo spettatore nello spazio del presente. Innanzitutto per il rapporto diretto che gli artisti e la vicenda hanno con chi osserva. Non poltrone, ma tavolini e sedie accolgono il pubblico come in un cabaret ricostruito (persino il fumo, all’arrivo, sembra reale!). La narrazione, però, si fa rarefatta e idealizzata nei numeri musicali e nei continui salti temporali, fra memoria e realtà. Ci troviamo negli anni ’30, quando il Nazismo becero e volgare sta iniziando ad affermare la sua forza idiota su ogni forma di intelligenza che non sostenga la causa ariana. I cabaret con la loro vitalità culturale, seppure nascosta sotto l’apparente spasso grossolano, sono le vittime prestabilite di un mostro che divora tutto quello che ne ostacola il cammino. Un terribile parallelismo con l’Europa di oggi, con i movimenti neonazisti, con l’intolleranza sempre più dilagante fa serpeggiare un brivido sulle spalle di tutti.

La trama è semplice, forse anche banale: una donna, padrona del cabaret, denuncia l’ex amante scrittore e il pianista, entrambi ebrei, e alla fine anche il figlio omosessuale, pur di salvarsi dalla deportazione. Ma la violenza dell’arte di questo allestimento sta nelle musiche, in parte originali, in parte ammiccanti alla grande tradizione di quegli anni, e soprattutto nella perfezione performativa di tutti gli artisti coinvolti: eccellenti, senza se e senza ma.

Cantano, ballano, recitano, ammiccano, ridono e piangono senza risparmiarsi.

Fra loro, però, due spiccano il volo. Sebastiàn Galeota ha una vitalità dirompente, principalmente fisica, e non disdegna di mostrare tutto di sé (davvero tutto, come possono testimoniare alcuni costumi). Canta Lola con una parrucca bionda, a voce spiegata, sale con un balzo sul pianoforte, balla il tip tap e cambia gli abiti alla velocità di Fregoli. Marisa Berenson, dal canto suo, è semplicemente perfetta: sorride ed è un sorriso perfido, malvagio eppure conturbante. Inutile ricordare che si tratta di una icona del cinema e della moda a livelli inarrivabili, mitici. Balla, anche lei, ma con sensualità e un pizzico ci autocompiacimento. Ma solo perché è parte del personaggio. Si veste e si spoglia a vista ed è ancora incredibilmente sexy. Adornata di gioielli splendenti sfoggia una freschezza e una disinvoltura scenica da far impallidire le colleghe più giovani, segno che il talento (e con lui il fascino) è qualcosa che il tempo non può scalfire.

Il resto è una cornice perfettamente riuscita, fino alla depravazione e alla deportazione finale: nessun diritto è garantito, in nessun tempo, in nessun luogo finché si accetta che la violenza sia più forte del dialogo e della libera espressione.

Spoleto non delude, quindi, e lascia il sapore nostalgico dell’ultimo giorno sulla bocca di tutto il pubblico, promettendo nuove e straordinarie sorprese per il prossimo anno.

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