Fine d’anno a teatro a Milano? Cous Cous Klan, per ridere e commuoversi

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Intender no la può chi no la prova”, direbbe Dante. E potrebbe essere riassunto in questa umanissima citazione uno dei motivi di fondo di Cous Cous Klan, spettacolo in prima nazionale al Teatro Elfo Puccini di Milano (in scena ancora fino al 31 dicembre) firmato dalla compagnia Carrozzeria Orfeo, con una drammaturgia originale di Gabriele Di Luca che ne cura anche la regia insieme al co-fondatore Massimiliano Setti e ad Alessandro Tedeschi.

Una pièce decisamente e amaramente comica e al contempo velata da toni di “giallo” e mistero, a tessere una trama che porta in primo piano questioni sociali attuali di non poco conto. Una comicità impegnata, si può dire.

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Nel microcosmo di un parcheggio abbandonato e degradato – un mondo altro, abitato da una variopinta e tormentata comunità di senza fissa dimora, un mondo al di fuori di “recinzioni sociali” in cui vivono invece i benestanti – vediamo agire, tra battute serrate e dissacranti, il dramma della solitudine, del rifiuto, della mancanza di risorse primarie come cibo e acqua (quest’ultima, nella storia, è stata infatti privatizzata) a svantaggio di vecchi e nuovi poveri.

Ma i due mondi – il dentro benestante e il fuori emarginato – distanti, guardinghi l’uno con l’altro, in qualche modo comunicano. Tanto che il primo, nei panni di un pubblicitario quarantenne costretto a fare i conti con la separazione e gli alimenti da pagare a moglie e figlio (Aldo, interpretato da Alessandro Federico) irrompe nel secondo: l’emarginato in qualche modo si vede finalmente riconosciuto, compreso e indispensabile, tanto da gustarsi la possibilità di avere per una volta il coltello dalla parte del manico (ad esempio nel fare la cresta su ambiti quanto sgangherati “posti letto” a prezzo stracciato per nuovi senza dimora).

Voi ricconi sapevate di noi al di fuori della recinzione, ma ci avreste fatto morire

sentiamo dire a Caio (Massimiliano Setti), ex prete, ora capobanda dei derelitti nichilista e cinico, che divide una roulotte con un fratello sordomuto, anti-islamico e ossessionato da persecuzioni omofoniche (Achille, Alessandro Tedeschi), e con una sorella – Olga – molto sovrappeso, priva di un occhio e in piena turba uterina di mezza età (interpretata da una vulcanica Beatrice Schiros).

La fatica di vivere

Fatica di vivere, di fare i conti con nevrosi, diversità, limiti fisici e mentali, con l’amarezza che scaturisce da vissuto e storie personali. Questi elementi emergono tragicomicamente e coerentemente con la mission della Compagnia autrice di Cous Cous Klan: la denominazione “Carrozzeria Orfeo” esprime la contrapposizione di parole tra loro molto diverse (la concretezza di una carrozzeria e il simbolo e la valenza onirica dell’arte) con l’intento di fornire “un punto di vista sul mondo e sul presente nel tentativo di non farsi mai imprigionare dalla retorica o da inutili moralismi”, anche grazie alla mescolanza di generi (ironia e tragicità in primis).

Ci si riesce? In buona parte sembra proprio di si, soprattutto sul fronte moralistico. Lo spettacolo procede a ritmo sostenuto in un racconto dallo stile volutamente eccessivo e provocatorio: le battute, solo a tratti scontate (forse tirate un po’ troppo per le lunghe, tanto da apparire non sempre necessarie e giustificate, ma appunto “eccessive”) lasciano spazio a colpi di scena risolutivi e a più di un commovente momento poetico, sottolineato anche dalle musiche originali di Massimiliano Setti.

La dimensione poetica è resa viva anche dall’intervento di una vena di “paranormale” – incarnata dal personaggio ribelle di Nina, ben interpretata da una Angela Ciaburri piena di energia (oltre a tanto teatro, è volto televisivo in Gomorra e vanta interpretazioni al cinema per Soldini e Tullio Giordana) – che va ad “illuminare” grottescamente questa piccola girandola di personaggi in generale molto ben definiti e caratterizzati.

A renderci vicino questo microcosmo è una scenografia vivida e realistica attraverso cui familiarizziamo con un campo nomade in cui si sbarca il lunario con piccoli espedienti, prese in giro, isteriche sopportazioni, improbabili rivelazioni, e in cui ogni ruolo è ben identificabile e agisce secondo codici riconoscibili e caratterizzazioni ben tenute in tutto l’arco della lunga pièce. E’ quest’ultimo il caso soprattutto del sordomuto Achille e del musulmano Mezzaluna (Pier Luigi Pasino, che interpreta appunto l’inquilino altro del parcheggio, compagno di Olga, precario tanto nel rapporto di coppia quanto nella sopravvivenza).

Un ambiente difficile (“come abbiamo fatto a trasformare il mondo in questo fallimento?” si chiede il depresso Caio) in cui, però, come si vedrà (scoprendo anche il perché del titolo) si può arrivare a fare fronte comune, e in cui qualche umano miracolo è possibile.

Per chi lo perdesse all’Elfo Puccini di Milano, Cous Cous Klan attraverserà l’Italia (e non solo) in tournée a partire da inizio 2018: da Roma (Teatro Eliseo) ad Ancona (Teatro Sperimentale); da Lugano (Teatro Lac) a Genova (Teatro Archivolto) per concludersi a  Firenze (Teatro Excelsior di Reggello) a marzo.

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