La lettura diventa scrittura come se dovesse trovare parole per un racconto o una poesia. Una chiave, di certo, molto personale per guidare il pubblico dentro il mistero di Hank. La vita creativa, la scrittura e la follia che fanno trapelare quel senso di lotta tra lui e il mondo, la vita e gli editori.

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Capita di imbattersi più volte nella vita di uno scrittore scoperto e individualizzato come dissacrante, veritiero e realistico quale Bukowski è stato.

11081345_697764433665329_2322813148419206962_nQuesta volta non è uno spettacolo teatrale ma un reading secondo chiare e precise regole. Più uno studio che ha analizzato poesie, racconti e pensieri, quali Sarah Mataloni è stata in grado di incastrare con la sua penna mediante tratti inediti.

Al Caffè Mameli 27 di Roma una sola data, il 27 marzo, ha incantato un ristretto pubblico con Fuoco Vivo (e di come Hank lo rubò agli Dei). Una coincidenza di numeri, un’elaborazione contemporanea, una sperimentazione che guida verso la vita di Hank.

Il luogo accogliente avvolge le persone con libri, nuovi e usati, LP d’epoca e arredo assemblato non a caso riportando a un retrò quasi scomparso. Un video vede rappresentate delle foto, momenti di vita e espressioni facciali assai intense e ad accompagnare Sarah nel suo viaggio erano presenti il maestro Francesco Paniccia e Sylvia di Ianni.

Sarah Mataloni si è presa cura della sceneggiatura, scegliendo i testi e adattando la sua idea presentandola come prima volta ai presenti in sala.

Francesco Paniccia, al pianoforte, ha curato le musiche inedite e composte da lui, suonando anche altr i brani, tra le quali Gnossienne n° 1 di Satie, il tema del film Casablanca e una citazione di Mozart, mentre Sylvia di Ianni si è dedicata alle performance sceniche, quali balli e movimenti rendendoli inerenti all’interno del disegno desiderato.

Ciò che il risultato conserva con sé è l’interessante gioco di rumori, ritmi e suoni, quasi persistenti e ossessivi, richiamo alla follia dell’autore e sviluppati con un semplice toc-toc sul muro, con una penna che batte sul copione e con i tasti della macchina da scrivere.

 E’ il pensiero che dalla testa preme per uscire ed essere scritto.

Questo è ciò che Sarah ci dice rivelandoci una chicca del suo percorso.

Scrivere è volare, sembra un motto. Si, libera. La scrittura libera e, così, l’autrice guida le persone per mano proprio dentro la storia, i racconti, le poesie di Bukowski.

Il reading è armonico, si fa intimo. Diviene lettura a due voci. Sarah e Sylvia sono due anime, le interpretano, donando voce e corpo a Bukowski. La libertà espressa in balli e canti è incatenata, ci si scastra dai nastri lasciando braccia e mani muoversi con delicatezza. La poesia Un uccello azzurro salta alla mente, è impatto forte.

 Una lotta. Il contatto di mani è essenziale. Hank contro il mondo, contro la vita, contro gli editori che quasi mai gli davano credito.

 I colori sono importanti. Bianco e nero, determinanti e puliti. Poi il cambio di abiti, non necessario. L’uniformità sarebbe stata più idonea come una pulizia e uno snellimento della performance, in quanto ci si perde un po’ tra le letture e i passi di danza. Non è proprio congruo leggere mentre ci si muove. Sarebbe stato utile l’esercizio di memorizzazione per non interrompere sguardi, messaggi e vicinanza voluta.

Le poesie, E tu vorresti fare lo scrittore?, Sprecare la vita, Risate letterarie e Il genio della massa lette con intensità e vigore sono netti messaggi e interrogativi riguardo la vita.

Ci si chiede come si può amare la vita se si vive un’ora e mezza al giorno e tutte le altre si corre.

Il brano di apertura è stato tratto da Storie di ordinaria follia.

Sarah ha ben sviluppato il tema Bukoswki, studiandolo e analizzandolo secondo la sua visione. Nonostante non siano stati ben chiari i passaggi tra ciò che Hank ha scritto e ciò che Sarah ha inserito di suo.

Potrebbe risultare opportuno studiare bene gli spazi dove si andrà a presentare lo spettacolo più adatto ai teatri e ambienti più grandi. Suddividere le varie scene e poter inserire una voce fuori campo, quella narrante, per evidenziare ciò che l’ideatrice di Fuoco Vivo (e di come Hank lo rubò agli Dei) ha scritto per dare il giusto senso ad una regia, che con particolari più attenti si rivelerebbe più interessante.

Al termine dello spettacolo ho avuto finalmente il piacere di incontrare Sarah Mataloni, conoscerla e dialogare con lei. Un contatto che dal social network si rende vivo e percepibile. Uno scambio di idee e di impressioni che sono servite ad entrambe per approfondire ciò che si è compreso di Fuoco Vivo (e di come Hank lo rubò agli Dei) e di quello che si può ascoltare per migliorare il lavoro svolto.

Mentre osservavo passaggi, movimenti e mi facevo attenta alle parole alcune domande sono immediatamente nate dalle intuizioni.

Perché la scelta di Bukowski e della lettura sviluppata in chiave non esattamente statica?

L idea era di creare una performance non lineare e fissa, ma un flusso creativo, che lo spettatore potesse identificare con la necessità dell’arte d’essere comunicata, di venir fuori. Abbiamo scelto Bukowski perché è interessante il dissidio con il mondo, che finisce per lasciare spazio al suo modo d essere creativo, la scrittura. Bukowski lo trovavo piuttosto complesso: avevo bisogno di renderlo in maniera dinamica e senza troppi schemi.

A che devi il tuo sguardo contemporaneo, a quali contaminazioni culturali?

I tre protagonisti della performance, a contatto nella casa di un ipotetico artista (identificato qui con Bukowski) sono tre isole a tratti comunicanti, tre personaggi diversi, ognuno con il proprio “trip”: le due donne (Sylvia ed io) sono le due facce della follia; il dissidio, il tormento, la rabbia verso una società che spesso chiude licenziando spiragli creativi, e la liberazione (Sylvia) che ha bisogno di spingersi fino alla follia per esplodere. La musica (Francesco) è l”entità artistica per eccellenza..e rende il tutto più lirico (anche se volutamente in alcuni punti Francesco si alzava, interagiva in maniera maschile con noi). Noi tre siamo tre sfaccettature diverse dell’arte che a volte convivono, a volte lottano, a volte si amano. Questi tre mondi, possono ricordare, alla lontana, i protagonisti di un romanzo di Palahniuk, vicini e simili animicamente, ma diversi per il tipo di percorso che affrontano. E in qualche modo, si ritrovano. Sylvia, la creatività più libera, a tratti ricorda uno dei protagonisti d un film di Lynch. Folle, non convenzionale, quasi al limite.

Come è nata la tua sperimentazione, per poi affinare la performance?

La sperimentazione è nata per il desiderio di unire assieme più arti, cercando di regalare al pubblico una visione abbastanza ampia della creatività. Ho portato in scena spettacoli più “classici ” e con una struttura più stabilita e preordinata. Stavolta avevo voglia di sperimentare qualcosa di diverso, che potesse non essere legato molto al testo, ma anche all’improvvisazione scenica. Sylvia è una performer molto attenta alle dinamiche sceniche, io ho sempre lavorato molto sulle intenzioni e sull’interpretazione; ci siamo contaminate, cercando di condividere i nostri linguaggi. Ed è venuta fuori una performance non rigida, ma molto coerente con l’incontro di due universi apparentemente lontani. E Bukowski in questo si prestava benissimo: il suo rifiuto verso la società, che si esprimeva a tratti in una penna libera e disinibita. Francesco Paniccia, pianista e compositore delle musiche, collabora con me da sempre, anche in altri lavori. Il suo ruolo non si esauriva nell’esecuzione della musica, ma era un protagonista della scena, immerso nel viaggio creativo, come tutti noi.

Il tuo suono e il tuo ritmo come li vivi?

Il ritmo e il suono avevano molta parte in questa performance: il pezzo del ticchettio della penna e dello scrittore quasi in trance, ne è la prova. Dopo essere ossessionato dal ticchettio della penna,  l’artista comincia a scrivere, nell’impellenza creativa e scrive perché non ne può fare a meno. Il ticchettio che era ossessione diventa liberazione con la scrittura. Stesso significato ha la macchina da scrivere, con i suoi tasti. Alla fine della performance, Sylvia ed io ci ricongiungiamo, muovendoci assieme in sinergia, come due entità che cercano il modo per comunicare e per condividere. E li fanno anche attraverso i suoni e il ritmo.

Grazie a Sarah del tempo che ci ha dedicato augurandole buona fortuna per la sua performance.

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