Va in scena per il festival estivo del teatro Marconi di Roma la lezione-spettacolo dedicata a uno dei grandi compositori italiani: Gioacchino Rossini, il tedeschino. Una vita divertente fra musica, amori e cibo.

Gioacchino Rossini
Gioacchino Rossini

Negli ultimi anni il teatro si è fatto carico di una delle prerogative che la televisione ha avuto all’inizio della sua storia. Attraverso la variegata formula della lezione-spettacolo il teatro si preoccupa di insegnare direttamente e dichiaratamente un determinato argomento agli spettatori.

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Titoli accattivanti, impiego di musica dal vivo, di supporti multimediali di ultima generazione, o semplicemente grazie a un nome di richiamo – e con il pregio di essere per le produzioni un prodotto a basso costo – la lezione-spettacolo sta conoscendo una diffusione sempre crescente.

Essendo inoltre un format particolarmente elastico si presta a numerosi ambiti, dalla scienza alla pittura, dalla politica alla musica, e muta – nel percorso e nell’approccio più che nello sviluppo – in base a chi lo ha ideato.

Questa premessa generale è importante per comprendere quanto raccontato da Carlo Picchiotti nel suo appuntamento sulla vita, la musica e soprattutto la cucina del compositore pesarese.

Il set

Il set è chiaramente quello di una lezione: tavolo, sedia, leggio, luci e fonica sono a favore del racconto e dell’ascolto aneddotico.

Ed è più attorno agli episodi biografici, da quello divertente o piccante a quello smaccatamente ammiccante che tutta la serata si sviluppa, invece che in tappe organizzate.

Per questo si ha l’impressione, superando la prima parte, di una perdita di direzione e, di contro, di una crescente mancanza di approfondimento.

Se infatti la serata si apre con le rare e poco conosciute Sonate per archi, si prescinde però poi da una più completa esposizione della produzione operistica (soprattutto napoletana, per cui anche gli aneddoti culinari avrebbero trovato più ampio spazio).

Sulle figure chiave della carriera, inoltre, si glissa anche troppo rapidamente, laddove alcuni altri episodi avrebbero chiarito meglio allo spettatore l’arco creativo che si conclude, tanto prematuramente, con il Guillaume Tell.

Sul fronte degli ascolti, invece, non è parso efficace alternare registrazioni ed esecuzioni dal vivo. Infatti, se le prime erano comunque di buon livello, le seconde erano eseguite da una fin troppo giovane e inesperta interprete con l’ausilio delle basi musicali e senza microfono, situazione che ha spesso impedito la corretta fruizione di quella parte dello spettacolo.

Gli esempi musicali dovrebbero arricchire la narrazione e non arrestarla.

Il fatto poi che il bis di questa giovane soprano (cui incautamente sono state affidate esecuzioni di due brani per altro registro vocale: Tancredi e Cenerentola) sia stato un brano di Offenbach è forse giustificato dalla citazione di uno dei péchés de vieillesse ad esso dedicato: il volo pindarico è troppo azzardato. Nonostante tutto, il pubblico ha gradito, partecipando numeroso e applaudendo calorosamente.

Segno che Rossini e Picchiotti hanno fatto centro.

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