29 Novembre 1924: dopo un disperato tentativo per estirpare un cancro alla gola, muore d’infarto Giacomo Puccini. Esattamente 95 anni dopo, al Verdi di Trieste, viene celebrata la sua memoria, una straordinaria inaugurazione che si tinge di Cina e urla Turandot!

Siamo a Pekino, al tempo delle favole. La le Turandot, figlia dell’Imperatore, venga data in sposa a colui che riuscirà a sciogliere i tre indovinelli da lei proposti, per chi erra è invece prevista la decapitazione.

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Molti sono gli uomini morti nel vano tentativo di unirsi alla pura Principessa e proprio mentre una delle sue ultime vittime implora pietà, il Principe Calaf (mescolato nella folla) si innamora follemente di lei. È disposto a metter in gioco la sua stessa vita per l’amore di quella donna. La giovane schiava Liù tenta di dissuaderlo insieme ai ministri dell’imperatore Ping, Pong e Pang ma il Principe non sente ragioni.

Giunge così Turandot e propone i suoi tre indovinelli. Calaf riesce a risolverli ma la Principessa non vuole perdere la sua purezza, non vuole concedersi nonostante la legge del suo paese. Implora suo padre ma l’imperatore resta fedele alla parola data.

È Calaf a proporre un patto: il suo nome in cambio della libertà. Fino a quel momento Calaf era stato semplicemente un “Principe ignoto” e nessuno conosce il suo nome. Se all’alba Turandot rivelerà il nome, Calaf verrà condannato a morte.

Turandot ordina così che “Nessun dorma” prima di aver scoperto il nome dello straniero. Calaf dal canto suo è certo di vincere, nessuno lo conosce a Pekino. Eppure alcuni sgherri riescono a imprigionare Timur (il padre di Calaf) e Liù, visti parlare con lui presso le mura. Per salvare Timur, Liù dichiara di essere l’unica a conoscere il nome dello straniero ma che non lo dirà. La schiava viene torturata e in nome del proprio amore, temendo di svelare l’indicibile segreto, si uccide.

Turandot è gelida e crudele, non si cura dello spargimento di sangue se può goderne personalmente. È Kristina Kolar a impersonare questa terribile Principessa. È altera, rigida e scostante. La sua voce è potente, dispotica, piena. Apprezzatissima dal pubblico triestino che la ricopre di applausi.

Applausi altrettanto ben meritati quelli dedicati a Amadi Lagha, Calaf. Un tenore del genere non si ascoltava da anni, era talmente a suo agio in questo ruolo da far sembrare il “Nessun dorma” un’aria che chiunque potrebbe cantare. Dizione a dir poco perfetta, acuti mai sofferti e bella presenza scenica, una vera fortuna averlo visto in scena.

Dolcissima la Liù di Desirée Rancatore, così sfortunata nel suo amore. La sua esibizione è stata un crescendo di emozioni, una voce calda e delicata che ha ammaliato tutti.

Davvero molto valido Andrea Comelli, il vecchio Timur, sia vocalmente che scenicamente perfetto. Meravigliosamente grotteschi Ping (Alberto Zanetti), Pang (Saverio Pugliese) e Pong (Motoharu Takei), dinamicissimi e puntuali in ogni intervento.

Trait-d’union essenziale per l’opera intera. L’allestimento curato da Katia Ricciarelli e Davide Garattini Raimondi è vincente. Con attenzione e semplicità anche i dettagli apparentemente più trascurabili vengono esaltati. Ottime le scene ideate da Paolo Vitale, si serve di furbi escamotage per sfruttare gli spazi al meglio e creare una divisione di ceto grazie solo alla disposizione degli elementi sul palco. Ovviamente l’apporto essenziale alla riuscita di questo spettacolo è dato anche da Nikša Bareza, dall’orchestra e dai cori magistralmente diretti dal M° Francesca Tosi e Cristina Semeraro.

Molti sono gli elementi degni di nota, partendo dall’incredibile professionalità degli interpreti alla capacità dei tecnici. La Turandot resterà in scena fino all’8 dicembre, lasciatevi catturare dall’amore in una Cina spietata che chiede sangue, non ve ne pentirete!

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