Il regista Carmelo Rifici propone al pubblico del Teatro Carignano di Torino un’analisi del sacrificio di Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitemnestra, quale fulcro di una questione più complessa, stratificata nei secoli e nella cultura. Ne scaturisce una attenta e coinvolgente riflessione sulla violenza nella storia e nella società e sull’ineluttabile pulsione degli esseri umani alla distruzione.

Dal racconto biblico del fratricidio commesso da Caino nei confronti di Abele, si passa alla soddisfazione dell’impulso violento degli ominidi e si prosegue con Eraclito, Omero e i grandi poeti tragici greci (Eschilo, Sofocle, Euripide); fino a un azzardato, ma pertinente paragone di Ifigenia con la descrizione del “servo sofferente”, compiuta dal profeta Isaia.

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Tra teatro e metateatro

Lo spettacolo è costruito su due piani che procedono paralleli: quello del teatro e della sua rappresentazione. Di fronte al pubblico, una moderna sala prove – realizzata dalla scenografa Margherita Palli – in cui gli attori, un regista (Tindaro Granata) e una drammaturga (Mariangela Granelli) stanno provando l’Ifigenia in Aulide di Euripide. In scena il musicista Zeno Gabaglio si destreggia con disinvoltura dalle sonorità classiche e dense di mistero del violoncello, alla musica elettronica.

Attingendo scrupolosamente ai canoni tradizionali della tragedia greca – in base ai quali scene di violenza e di morte avvenivano dietro le quinte – tutto ciò che non viene mostrato sul palcoscenico è ripreso in diretta da due telecamere e mostrato al pubblico su uno schermo.

La componente metateatrale della rappresentazione è determinante e i temi affrontati così trasversali che la contestualizzazione della vicenda, dal punto di vista meramente spettacolare, potrebbe risentirne; ma il totale e disinvolto abbattimento della quarta parete da parte della compagnia, non lascia spiazzato il pubblico.

Ifigenia
Ifigenia Liberata. Foto ©Masiar Pasquali
Aldilà della quarta parete

Tindaro Granata, nel ruolo del regista, accompagna gli spettatori in una vera e propria lezione di teatro e di civiltà, spiegando nei minimi dettagli i riferimenti storico-letterari utilizzati e le scelte compiute “qui e ora” nella costruzione delle scene.

Un discorso analogo vale per Mariangela Granelli, nel ruolo della drammaturga, la quale, oltre a un’appassionata interpretazione, rivela un efficace capacità comunicativa nei confronti del pubblico cui si rivolge.

Edoardo Ribatto è un tormentato Agamennone; interessante lo spunto di riflessione che deriva dalla costruzione del suo personaggio e del rapporto di devozione reciproca e morbosa con la figlia Ifigenia (Anahì Traversi), innocente quanto pragmatica.

Col senno di poi, si potrebbe arrivare alla conclusione secondo la quale, senza il rapimento di Elena, la guerra di Troia sarebbe stata scatenata dal mero soddisfacimento di un desiderio incestuoso.

Emotivamente intensa l’interpretazione di Giorgia Senesi, particolarmente immedesimata nel ruolo di Clitemnestra, madre non ancora spinta da propositi di vendetta.

Rilevante importanza assume, inoltre, il ruolo delle due corifee. Le vibranti Caterina Carpio e Francesca Porrini che, senza ammonire, ma con toni anche abbastanza spensierati, commentano rivolte al pubblico ciò che accade dietro le quinte.

Quasi come uno specchio che riflette le azioni di un’umanità che, dopo millenni di violenza, continua a non imparare dai suoi errori.

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