Palco vuoto illuminato a stento. Una sola figura emerge dal buio. Si rivolge verso il pubblico, racconta a raffica della sua vita, delle sue giornate, ci spiega i segreti del contouring, come a un confessore, come a un amico, ma in realtà parla solo al silenzio.

Proseguendo sul percorso tematico di questa stagione 2017/2018, la Fucina Culturale Machiavelli torna a proporre uno spettacolo che parla ai nostri tempi, alle nostre dipendenze dal mondo digitale, dalle seconde vite che dentro le quali ci perdiamo sulla rete.

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Per Anita invece, protagonista dello spettacolo della compagnia Domesticalchimia, la vita reale, quella delle relazioni viso a viso, è completata scomparsa, inghiottita da quella digitale. Reclusa nel suo appartamento trascorre tutto il suo tempo a interagire con i follower del suo blog o a dialogare con la sua migliore amica Sam, figura immaginaria spuntata fuori dal suo televisore come la Samantha di Sex and the city.

Anita parla a noi come al suo pubblico virtuale, ci accompagna in tour per la casa – tutta immaginata e mimata – raccontandoci a mozziconi la sua vita, i suoi pensieri, in uno spazio che è tutta assenza, calato in un tempo senza passato e senza futuro.

Dal computer poi emerge un’altra figura: la Signora, che con le sue teorie sui rettiliani e le cospirazioni sui poteri forti, ingabbia Anita in una rete di paranoia e disperazione.

La drammaturgia, firmata da Riccardo Baudino e Francesca Merli e tutta compressa in un’ora e qualcosa di spettacolo, si presenta subito piena di spunti interessanti – specialmente in quel senso di vuoto e solitudine che ormai spesso fa da sfondo alla narrazione della vita digitale – ma ogni concetto rimante frastagliato.

I dialoghi, e in particolare i lunghi monologhi della protagonista, avanzano incalzanti, provando a esplicitare mille buone idee senza davvero svilupparne una e lasciando allo spettatore su tutto una sensazione di incompiutezza.

E quando il testo passa dal metafisico al fisico, e dalle allucinazioni di Anita ci si sposta nel reale, non c’è stato abbastanza sviluppo perché gli eventi ci sembrano rilevanti o ci impattino.

E anche quel bel pensiero sul contouring – la tecnica di trucco che attraverso luci e ombre ridisegna il volto – l’idea che esiste un contouring anche nella vita, che esistano linee disegnate all’interno delle quali è più indicato vivere ma che sono in definitiva finte; anche questo si perde, affidato a un paio di battute che subito scappano via insieme alle altre.

Se la messa in scena è semplice ma geniale, dove il palco completamente vuoto diventa lo specchio della solitudine della protagonista e l’uso del sonoro diventa efficacissimo nel sostenere la narrazione, questa non basta a supplire, in particolare alle interpretazioni.

Nel vuoto del palcoscenico infatti, le tre attrici – da Zoe Pernici (Anita) a Barbara Mattavelli (la Signora) e soprattutto Elena Boillat (Sam), che si esprime senza voce, solo attraverso un corpo muto – hanno un’ottima presenza, ma a volte manca la parola, l’intenzione nella battuta.

In ultimo ciò che resta è il germe di un ottimo spettacolo, una macchina con i giusti pezzi a cui serve ancora qualche giro di chiave per ingranare.

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