Una delle consuetudini più apprezzate dal grande pubblico che ogni giorno riempie le sale dell’Auditorium Parco della Musica in occasione del Festival Internazionale del Film di Roma 2013 sono gli incontri con alcuni dei maggiori interpreti e registi internazionali. Nella giornata di sabato 9 novembre noi di Nouvelle Magazine abbiamo avuto l’occasione di ascoltare una delle icone del cinema britannico: John Hurt.

L’incontro è stato chiaramente l’occasione per parlare anche dell’ultima sua interpretazione nel film “Snowpiercer”di Joon-ho Bong basato sulla serie a fumetti francese “Le Transperceneige” presentato appena ieri sera al Festival.

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Come sei stato coinvolto nella lavorazione di “Snowpiercer” John?

Il regista mi ha stregato dal primo momento che ci siamo incontrati. Non è stato difficile accettare la proposta. Ieri sera per la prima volta l’ho visto insieme al pubblico e ne sono davvero soddisfatto.

Come è stato lavorare con Tilda Swindon?

Ci conosciamo da tantissimo tempo e ora devo dire che ha raggiunto la massima espressività e pure Chris Evans si è integrato perfettamente col resto del cast.

Come definisce stile della recitazione inglese?

Variano molto i tratti caratteristici ma noto soprattutto e con piacere, che sono migliorati molto gli attori cinematografici inglesi. È stato Alec Guinness a dare la svolta. Per me è sicuramente stato un punto di riferimento importante e mi ha influenzato tantissimo.

Come ha deciso di diventare attore?

È iniziato tutto ai tempi della scuola verso i 9 anni quando ho recitato la parte di una bambina in una scuola di soli maschi. Sono stato convinto da subito che quello sarebbe stato il mio futuro. Mio padre e mia madre erano però in disaccordo. In quegli anni li si ascoltava molto di più i propri genitori… Loro amavano il teatro ma non riuscivano ad accettare che io potessi diventare un attore. Nell’Inghilterra del tempo le due cose più  importanti erano la rispettabilità e la sicurezza economica. Non esattamente quel che dava il mestiere di attore. Riuscii a studiare arte perché nella loro speranza c’era io facessi il maestro di belle arti. Fu però l’aiuto e la spinta di due ballerini australiani di danza spagnola a convincermi ad iscrivermi alla Royal Acadamy of Dramatic Arts.

C’è una stagione cinematografica che ha vissuto con particolare intensità?

Per sette domeniche di fila a Regent Street vidi Jules et Jim, io ero totalmente innamorato della Nouvelle Vague. Qualcuno c’ha provato a portarne un po’ in Gran Bretagna ma senza lo stesso risultato.

Ha mai avuto problemi nella scelta di un film?

La questione della scelta è sempre problematica, trovo di non avere più quella freschezza che ebbi in giovinezza dove ti butti in tutto quel che trovi senza farti tante domande. Quella freschezza non si recupera più. Bisognerebbe prendere le cose più istintivamente.

Le relazioni e i rapporti diventano importanti in queste scelte?

Se mi chiedono di lavorare con loro Jim Jarmusch  o Lars von Trier io accetto subito, non chiedo di leggere il copione perché non ce l’hanno, lavorare con loro è un viaggio in cui ti lasci andare. Non ce ne sono molti altri così.

Si sposta con grande fluidità tra generi diversi e film con budget agli antipodi  ma domina nella sua filmografia un cinema indipendente, come lo spiega?

Semplicemente li, trovo le storie più interessanti. Mi interessano più i film esoterici e complessi ma mi trovo bene anche nelle grandi produzioni con cui è altrettanto difficile cimentarsi.

Ha un metodo per avvicinarsi ai personaggi? Che rapporto ha con loro?

Magari potessi dare una risposta semplice. Per me tutto deriva dallo stile del film. Ci sono casi in cui si richiede un grande lavoro di ricerca e altri quasi per nulla. Non c’è un metodo che mi dice come fare , o almeno non ho un mio metodo, ecco!

Essendo anche un superbo attore teatrale come crede sarà  il futuro del teatro?

Il teatro non morirà mai, non c’è niente di alternativo al teatro. Mai nulla potrà dare lo stesso effetto che una presenza fisica sa donare.

Arriva poi il momento delle domande dal pubblico e la prima regala un momento tra i più esilaranti e che mostrano la sensibilità di Hurt. Leonardo, seduto nelle prime file è un giovane cineasta che dopo essersi speso in complimenti per l’attore chiede di consegnare un proprio copione ad Hurt, il quale, con con grazia assoluta e senza imbarazzare il ragazzo vagamente ripreso dal moderatore, accetta il lavoro e se gli occhi di una persona non ingannano, siamo certi che troverà il tempo di leggerlo. Chissà, magari tra qualche anno saremo qui a riparlare di questo momento…

Il cinema aiuta a sognare e noi non ci tiriamo indietro di certo.

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