INTERVISTA A LEONILDE BARTARELLI PER IL LIBRO IRENE (GRAPHOFEEL EDIZIONI)

Un libro che introduce una delle donne di spicco dell’Italia fra gli anni ’30 e ’60, IRENE (Graphofeel Edizioni) è liberamente ispirato alla biografia di Maria Vittoria Rossi, conosciuta come Irene Brin.

Giornalista di costume, scrittrice, viaggiatrice, fu una delle personalità più interessanti del panorama culturale di quel periodo, grazie all’intelligenza e all’eleganza che portava con sé.

- Advertisement -

La scrittrice Leonilde Bartarelli, nata a Genova, (ha abitato nello stesso quartiere dove è cresciuta Irene Brin) scrive un testo godibile, animato di profumi e suoni con l’intento di tratteggiare un periodo storico importante attraverso una figura femminile di rilievo.

Com’è nata l’idea di una biografia romanzata su Irene Brin?

Un giorno la mia editrice Laura Pacelli ha buttato lì una proposta a metà fra il gioco e la sfida:

Ti andrebbe l’idea di scrivere la biografia romanzata di Irene Brin?

Conoscevo pochissimo all’epoca della Brin e all’inizio la cosa mi ha terrorizzato.

Sì, mi piace narrare storie calandomi nella Storia, rielaborare con la fantasia personaggi realmente esistiti, mescolare il vero col fantastico, catturare nella rete del racconto fatti inventati insieme ad altri accaduti davvero, ma una cosa è giocare con la vita della Contessa Ava di Staggia, morta nell’XI secolo, un’altra è confrontarmi con una donna poco più vecchia di mia madre e scomparsa quando io ero già nata.

Di primo acchito mi è sembrata un’impresa impossibile e inadatta a me.

Ciononostante la curiosità era stata stuzzicata e ho cominciato a leggere e a raccogliere materiale su di lei. Tanto, tutto quello che potevo recuperare in biblioteche e sul web.

E più andavo avanti, più leggevo saggi e testimonianze, più guardavo le foto e mi inoltravo nei mille meandri della sua personalità, più mi ritrovavo invischiata e affascinata al punto che cominciare a narrare di lei e presentarla a un pubblico dall’ottica da cui lei stessa mi aveva parlato è diventato un flusso naturale.

Mi ha intrigato anche il taglio che era stato richiesto: una biografia romanzata abbastanza vivace e adatta a un pubblico di non specialisti e che nello stesso tempo rispettasse il più possibile ogni evidenza storica, con dei brevi approfondimenti culturali, storici o di costume alla fine di ogni capitolo.

Una fiction con intermezzi di documentari, per dirla in linguaggio televisivo, per ampliare il più possibile la conoscenza di questa donna eclettica e dimenticata raggiungendo un pubblico più vasto. Molto stimolante ed eccitante, non ti pare?

Quali aspetti della vita di questo personaggio ti hanno colpito di più?

Irene Brin ha infinite sfumature e aspetti. Ogni volta che si legge qualcosa di suo se ne percepisce uno nuovo: era una persona talmente camaleontica ed eclettica che, se da una parte penso sia impossibile comprenderla del tutto, dall’altra offre tante sfaccettature per cui è inevitabile trovarne molte in cui specchiarsi e con cui entrare in empatia.

Mi ha colpito innanzitutto la sua determinazione e il suo essere donna giornalista e di successo, senza perdere nulla della sua femminilità e senza cadere in facili stereotipi, in un universo maschile e maschilista, come era quello del giornalismo nell’anteguerra fino agli anni ’60.

Non si è inventata uno pseudonimo maschile, per esempio, come hanno fatto altre. No: i suoi nom de plumes erano tutti femminili, femminilissimi anzi.

Alle donne era permesso solo scrivere in giornali minori e occuparsi “solo” di costume e marginali? Bene, lei ha elevato il genere ai massimi livelli.

Le notiziole di per sé insignificanti, come una conferenza, un incontro, un evento banale qualsiasi, si trasformano sotto la sua penna in veri pezzi di puro giornalismo, e lei stessa diventa icona ed esempio da imitare. Lo trovo straordinario.

Altro punto che trovo affascinante è il suo interesse vivo e attento alle donne, alla loro situazione, alla loro vita, al loro essere. Sempre e comunque, anche quando parla di abiti o di galateo.

Cronologicamente, per la mia storia personale e il mio pensiero, la Irene che ho amato di più, che anzi in certi momenti mi ha proprio commossa e coinvolta, è l’Irene inviata di guerra nei Balcani.

Un’Irene sbigottita e impotente che, senza perdere nulla della sua grazia e leggiadria, si cala in un’atmosfera cupa e la descrive con la sua acuta capacità di sintesi, concentrando in una frase, una parola un mondo sconsolato e drammatico.

Leggendo i suoi racconti ho avuto una sensazione di universalità: sprofondavo in tutte le guerre, non in quella particolare, ritrovavo emozioni e sensazioni non circoscritte in un’epoca ma drammaticamente attuali.

Irene fu una giornalista influente e attenta a molti aspetti della società e del costume. Le modalità di scrittura e ricerca sono cambiate ai giorni nostri.
Che differenze riscontri tra il giornalismo che ha condotto lei e quello portato avanti oggi?

Il giornalismo ai giorni nostri, o almeno una parte di esso, punta molto al clamore e al sensazionalismo, allo scoop che suscita stupore e interesse per l’enormità vera o presunta del fatto.

Ecco, quello di Irene è esattamente l’opposto: pacatezza, sottile ironia, atteggiamento in alcuni tratti un po’ snob ma non per questo meno incisivo se si ha voglia di guardarlo davvero. Le sue stoccate arrivano in profondo, fanno riflettere, sorridere, indignare.

Svelano il nascosto senza gridarlo e strombazzarlo, giocando magari come il bambino che smaschera l’imperatore nudo. Molto efficace e duraturo, quindi.

Certo, basandosi lei molto sul suo contemporaneo e fenomenico a volte in certi testi cita e ragiona su personaggi e situazioni ovvie ai lettori del suo tempo ma che a noi arrivano quasi criptiche e bisognose di approfondimenti.

Non tutti conoscono nomi e fatti degli anni ’50. Certe regole di comportamento, certi consigli risultano dolcemente comici e datati ma non per questo la lettura dei suoi articoli perde fascino.

Il suo interesse più che al fatto vero e proprio, punta verso l’umanità che c’è dietro, soprattutto femminile. Non si sofferma su un abito in quanto oggetto, ma sulla donna che lo indosserà e sulle sensazioni che proverà indossandolo.

Non parla delle battaglie ma degli effetti che l’occupazione italiana e la devastazione delle bombe hanno sulle popolazioni. Il suo è uno sguardo rivolto alla persona, piuttosto che ai fatti e agli oggetti.

Trovo inoltre molto attuale il suo esprimersi in modo sintetico e concentrato, l’abilità di addensare in una espressione una gamma vasta di concetti. Se oggi Irene Brin fosse viva, sono sicura terrebbe un blog e noi tutti saremmo lì ad aspettare con ansia di leggere il post giornaliero.

- Advertisement -

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.