Sta riscuotendo un enorme successo lo spettacolo La Classe al Teatro Marconi di Roma. In scena fino al 9 aprile diretto da Giuseppe Marini il testo di Vincenzo Manna che abbiamo intervistato.

Qual è stato l’input che le ha permesso di scrivere il testo La Classe in scena al Teatro Marconi fino al 9 aprile?

Il testo de La Classe nasce dalla volontà di Franco Clavari di lavorare sul tema delle nuove generazioni a contatto con i grandi fatti storici.

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Franco è uno dei pochi produttori che è sempre attento alla funzione più genuina del teatro, vale a dire quella di problematizzare il presente e presentarlo sotto una luce nuova ed inedita agli spettatori.

E’ una linea che condivido e che considero vitale per il mio lavoro e vitalizzante per l’intero sistema teatrale. Sinceramente sono molto stanco dei soliti classici riproposti col nome cinematografico o televisivo di turno. Lo trovo assolutamente deprimente e deleterio.

Quando mi ha proposto di scrivere La Classe ho accettato subito, con entusiasmo. Quello che lo spettacolo racconta riguarda tutti i cittadini europei di oggi, li riguarda da molto vicino, li tira in causa personalmente nel loro essere uomini e cittadini.

Nel 2008 è stato proiettato nelle sale italiane La Classe Entre Les Murs di Laurent Canter, oltre all’ambientazione e al titolo ci sono altre somiglianze tra i duei lavori?

La letteratura non solo cinematografica su giovani ed educazione è molto ricca. Prima di cominciare a scrivere abbiamo visionato molti film, letto libri e testi teatrali. Tra questi c’è stato anche La Classe Entre les murs.

Del film abbiamo trovato interessante il contesto multietnico e multireligioso, la verità del tessuto sociale rappresentato, ma è stato solo uno dei riferimenti attraversati in fase di studio.

Com’è normale che sia, dopo il periodo iniziale di ricerche, ci siamo concentrati su una storia e su tematiche che nessuno aveva ancora affrontato.

Il testo teatrale allude alla cronaca, ci sono riferimenti alla città di Calais, la Giungla, la guerra in Siria ma universalizza temi e personaggi rendendoli esemplari. E’ stata una scelta consapevole perché, purtroppo, siamo convinti che di Siria, Calais e Giungle ce ne saranno molte altre ancora.

Un lavoro complesso caratterizzato da personaggi con tante problematiche, man mano che andava avanti la scrittura, aveva già in mente chi sarebbero stati gli attori che li avrebbero interpretati?

Il numero degli attori era già chiaro fin dall’inizio e di alcuni interpreti conoscevo anche il nome. Andrea Paolotti su tutti, l’attore che interpreta Albert, il protagonista.

E’ un vincolo importante ma da anche la possibilità di cucire un personaggio sulle caratteristiche e sulle sfumature interpretative di un attore. Credo che faciliti la scrittura, la renda concreta fin da subito.

Anche per questo motivo è stato possibile scrivere il testo in un tempo relativamente breve. La Classe ha avuto un periodo di gestazione di soli quattro mesi.

Qual è il messaggio principale di questo testo?

Mettere in luce la contraddizione fondamentale che c’è nell’essere cittadino europeo ai giorni nostri, vivere una condizione di alienazione e disagio economico e sociale e trovarsi di fronte a realtà come quella dei rifugiati e richiedenti asilo che chiedono aiuto e soluzioni a chi è già in stato di enorme necessità. I miei genitori vivono in una piccola cittadina di provincia.

La disoccupazione e le poche aspettative per il futuro sono il quotidiano della maggior parte della cittadinanza. Nel centro, ospitati in due o tre alberghi, ci sono circa un migliaio di richiedenti asilo. I due mondi non interagiscono, sono estranei l’uno all’altro.

Gli unici contatti sono fatti di diffidenza, ostilità. O peggio, su tutto regna una cupa indifferenza. E’ un problema davanti agli occhi di tutti. Forse è insanabile, non so. La Classe non propone soluzioni. Attraverso la vicenda di alcuni studenti di scuola superiore, mette in evidenza proprio questa dolorosa contraddizione.

C’è stato un momento, nella stesura di questo lavoro, in cui la sua scrittura si è bloccata? Intendo dire, un momento in cui ha avuto difficoltà ad affrontare il problema della xenofobia?

No. Il lavoro di preparazione è stato lungo e accurato. E’ il mio modo di procedere. Prima di scrivere passo mesi a fare ipotesi di scaletta, a delineare i profili dei personaggi. Quando ho iniziato a scrivere è andato tutto liscio. Anzi, i personaggi hanno cominciato a parlare da soli.

Qualcosa dal sapore pirandelliano… Ma è quello che succede quando è chiaro il contesto, chi sono i protagonisti della storia e quello che vuoi dire. Nel testo non ci sono personaggi buoni o cattivi. C’è lo xenofobo ma ha tutte le ragioni per esserlo.

Così come il Preside, attento a tenere su la “baracca” e più o meno indifferente ai problemi più “umani” degli studenti. E’ criticabile? Direi di sì. Ma cosa dire ad un uomo che vede i fondi per l’istruzione ridursi giorno dopo giorno, tanto da dover chiedere al professore di portare in classe una stufetta perché non ci sono soldi per tenere i riscaldamenti accesi anche di pomeriggio?

E’ autore di diversi testi. Ne preferisce uno in particolare?

Sono tutti diversi. Ognuno appartiene a una fase della vita e a un momento particolare del percorso creativo e professionale. Se ne devo dire uno, dico La Classe, l’ultimo, quello che ancora mi ronza nelle orecchie.

Autore e regista teatrale ma cosa ama di più?

Senza dubbio scrivere per il teatro è quello che preferisco. Ma mi adatto anche a fare regia. Ho studiato regia alla Silvio D’Amico. Ho molti progetti in cantiere. Uno a cui tengo particolarmente che mi vede sia autore che regista.

Si intitola Cani, e debutterà a luglio al Teatro Sociale di Gualtieri. Se posso, cerco di conciliare i due aspetti.

La regia di Giuseppe Marini è stata fedele alla drammaturgia?

Giuseppe ha fatto un lavoro incredibile con gli attori. E’ riuscito in quello che pochissimi registi riescono a fare: ha illuminato il testo, evidenziato le dinamiche emotive sotterranee, sottolineato le sfumature di senso più sottili.

Gliel’ho detto di persona ma voglio ripeterglielo ancora: complimenti.

La prima è stata accolta da molto entusiasmo da parte del pubblico romano. Le emozioni erano ben percepibili in sala. Lei si è emozionato, quando particolarmente?

Ero molto emozionato. Ero felice di vedere vivere di fronte al pubblico quello che fino a pochi mesi fa non esisteva. Ma ero anche molto attento a cogliere le reazioni del pubblico, percepire l’emozione che c’era nella sala, se c’erano momenti di stanchezza. Non è stato facile. E’ stato come lavorare.

E’ il passaggio finale della scrittura. Dopo la prima abbiamo fatto pochi aggiustamenti e adesso lo spettacolo è pronto per girare. Pensa che la mia prima sarà ancora tra qualche replica.

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