Ipocriti! Attori e superstizione. (parte I)

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La parola “superstizione” ha un significato interessante, deriva, infatti, dal latino super stitio (stare sopra) ed ha la stessa radice della parola superstite, quindi per superstizione si intendono tutti quei riti, in prevalenza religiosi grazie ai quali ingraziarsi gli Deì, e quindi garantirsi la sopravvivenza. O, per lo meno, un po’ di fortuna…

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Ed è quello che si augurano gli attori, di sicuro tra le creature più superstiziose che esistano sulla faccia della Terra.

Quanti di voi, cari amici non teatranti, hanno avuto l’opportunità, il piacere, di frequentare una compagnia o, almeno, avuto a che fare con un teatrante? Professionisti o amatori è lo stesso, il risultato non cambia… Credo tutti. Quindi sapete già dove sto andando a parare.

Sto per raccontarvi, provando a dare una spiegazione, delle piccole manie che affliggono la comunità attoriale, tutti quei piccoli riti scaramantici che si tramandano di generazione in generazione, alcuni addirittura radicati nelle tradizioni spettacolari medievali.

Iniziamo con il colore viola. Quasi tutti sanno che l’uso di questo colore a teatro è proibito perché, secondo la tradizione, portatore di sfortuna. Pare che la Callas, in Giappone, si rifiutò di cantare perché nella prima fila della platea sedeva una signora vestita proprio di quel colore; la storia non racconta di quel che successe in seguito, forse la signora venne fatta allontanare o fu portato d’urgenza un abito da sera di ricambio. La spiegazione? La versione più accreditata collega alla Quaresima e al colore dei paramenti liturgici l’origine di questa superstizione. In questo periodo dell’anno (40 giorni prima di Pasqua), nel periodo medievale, era vietato dare rappresentazioni pubbliche, di qualunque genere, per le vie o le piazze delle città e questo significava per i teatranti quaranta giorni di fame nera. Non potendo lavorare infatti, le compagnie teatrali non avevano guadagni e di conseguenza anche procurarsi il pane quotidiano era ardua impresa. Questo è il motivo per cui il colore viola è odiato da tutti gli artisti, in generale, ma è vietato soprattutto in teatro dove con il passare dei secoli è diventato vera e propria superstizione.

Altro “must” della scaramanzia teatrale è il modo in cui ci si possono aug… , ehm…, fare i migliori presagi per quello che sta per accadere sul palco.

Bandito dal vocabolario il termine “auguri” sostituito dal meno urbano, ma molto più benvoluto, “MERDA”!!! Prima dello spettacolo, gli attori si riuniscono in circolo, si prendono per mano e gridano “merda, merda, merda!”. Poi ci si continua ad augurare sempre “Tanta merda”, ma chili e chili, gironzolando per il palco e dandosi vicendevoli pacche sul sedere. Va detto che il termine, che così, di primo impatto sembra poco lusinghiero, è, invece, l’augurio più desiderato da quanti calcano un palcoscenico! Ma il motivo qual è? Anche in questo caso bisogna andare indietro nel tempo; quando gli unici mezzi di trasporto erano le carrozze, a teatro ci si andava con questo mezzo trainato da cavalli. Se lo spettacolo era un successo, la gente accorreva numerosa e il via vai dei cocchi era notevole, come pure lo era la quantità di escrementi che gli animali lasciavano sulla strada e che il pubblico, involontariamente, introduceva all’interno del teatro! Più persone intervenivano alla rappresentazione, più escrementi c’erano. Quinidi: “merda” = successo! Ricordate quindi: la prossima volta che andate a vedere un vostro amico a teatro, niente “auguri”, “in bocca al lupo” o cose del genere. Non cercate di inventare neologismi, dei nuovi modi di salutare ma dite sicuri solo: “Merda!”

E ancora: il copione non deve mai toccare terra. Far cadere a terra il copione è indice di negatività, richiamando la caduta dell’intero spettacolo. Per cui, se accidentalmente il testo dovesse toccare terra bisogna battercelo volutamente per tre volte. E fin qui si può restare nell’ambito della, seppur discutibile, superstizione pro-grazia degli Dei. Ma c’è chi esagera e sbatte a terra qualsiasi cosa che, per sbaglio o per incidente, tocca terra. Quindi penne, accendini, chiodi, trapani, cantinelle. Non vi sembra un po’ troppo? Pensate se mai dovesse cadere un attore…!

Un’altra cosa da non fare sul palco e nei camerini è fischiare: pare sia un richiamo per la sfortuna. Fischi richiamano fischi e nessuno li vuole.

E poi ancora: trovare sul palco un chiodo storto è il presagio fortunato di ritorno in quello stesso teatro; non viene apprezzato il salire sul palco portando un cappello che non sia di scena (retaggio forse di formule legate alla buona educazione), né lo sbirciare in platea da una fessura del sipario prima che lo spettacolo cominci.

Ma se in Italia si piange, in Francia, fosse possibile, sono messi un po’ peggio: è vietatissimo pronunciare la parola corda sul palco (pensate quanto può essere scomodo per i tecnici), il termine viene sostituito da fil o gande, mentre non è il viola a essere bandito, ma il verde. In Sud America, e credo anche in Spagna, porta male il giallo.

A volte, però, l’eccesso di zelo superstizioso ottiene catastrofici risultati: anni fa, durante un festival, il Direttore di scena decise di disinfestare il palco da eventuali presenze maligne spargendovi sopra un bello strato di sale grosso che, una volta spazzato, avrebbe portato via l’eventuale malocchio. Peccato che per compiere l’operazione avesse appoggiato la scala a pioli di metallo al pesante sipario di velluto per farsi spazio sul palco: all’apertura del sipario sulla prova generale, la scala cascò addosso all’attrice protagonista, che si fece qualche giorno d’ospedale.

E chiudo ricordando una frase di Eduardo de Filippo che, al proposito, diceva: “La superstizione è sinonimo d’ignoranza, ma non porta male essere superstiziosi”.

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