“L’arte di Klimt è antipatica al nostro tempo perché l’oltrepassa e prepara il tempo di domani”. È di Nino Barbantini, direttore della Galleria Internazionale di Ca’ Pesaro, la connotazione forse più calzante dell’arte di Gustav Klimt, esposta al Museo di Roma fino al 27 marzo 2022 nell’ambito della mostra “Klimt. La Secessione e l’Italia.” Un andirivieni continuo tra Vienna e Roma e il clima di brulicante energia intellettuale che attraversava le due capitali, di cui Klimt fu un assoluto pioniere. Le sue opere furono esposte sia alla Biennale Internazionale d’arte di Venezia nel 1899 che all’Esposizione Internazionale di Belle arti a Roma nel 1911 dove l’artista che, con la Secessione Viennese, diede un impulso rivoluzionario al ruolo dell’arte nella società, diede prova della sua cifra fortemente anticonvenzionale, ritenuta per questo “scandalosa”.

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Klimt non è pittore da arginare in confini di facile e rassicurante lettura e dopotutto le sue muse, donne quasi epifaniche a metà tra creature allegoriche e carnalmente sensuali, sembrano vestali di un nuovo mondo dove l’inquietudine femminile e l’autodeterminazione dei ruoli sessuali viene finalmente non più taciuta ma “messa in scena”.

Emblematica a tal proposito la sua Giuditta, un dipinto allegorico, stilistico e realistico dove l’eroina biblica che stringe tronfia e sensuale, al contempo, tra le mani, la testa di Oloferne sembra tratteggiare una nuova idea di donna che sprigiona autoaffermazione sociale e sessuale.

Ciò che forse più destabilizza della sua arte e la rende “di frontiera” come quella dei maggiori avanguardisti è la polivalenza di significati sovrapposti che assomigliano molto più a un’incessante ricerca espressiva e simbolica piuttosto che a un messaggio maturo.

Una “composizione” che non a caso si sublima nel grande omaggio ad un altro grande compositore d’arte, musica in questo caso. Nel Fregio di Beethoven lungo più di 34 metri, alto due metri e occupante tre pareti di una stanza laterale, presentato alla XIV mostra della Secessione Viennese nel 1902, Gustav realizza un dipinto in omaggio alla nona sinfonia del grande compositore.

L’opera rappresenta una delle attrazioni principali della mostra, non solo per le sue dimensioni, ma per quella capacità di fondere ideale, allegoria, decorazione e esegesi musicale.

Il pittore viennese continua a sorprenderci nell’esecuzione di ritratti borghesi che malcelano le inquietudini femminili e in quell’erotismo brandito con maestria per solleticare il gusto onirico e inconscio dello spettatore ed elevarlo verso i suoi ideali.

In questo è estremamente moderno, come voleva il manifesto della Secessione Viennese, di cui Gustav fu il presidente: avvicinare l’arte alla modernità attraverso stili presi in prestito anche dall’architettura e simboli di grande potenza evocativa che aprano le porte su una costante dialettica tra aspirazioni profondamente umane, l’arte, la società.

Gustav Klimt mette al centro della sua arte la donna che recupera una sensualità fortemente autoconsapevole e matura, di cui è padrona senza mai diventarne schiava o feticcio.

In fondo, la mostra “Klimt. La Secessione e l’Italia” è anche questo: un auspicio di femminilità assertiva e libera, in cui riconoscersi.

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