La paurosa bellezza delle montagne da scalare

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Montagne da scalare non come semplice gesto atletico e sportivo ma come un vero e proprio viaggio filosofico nei limiti dell’io.
Di questo ed altro si parla in Paurosa bellezza / Grozljiva lepota di Marko Sosič  e con la regia di Matjaž Farič che ha debuttato in prima assoluta il 21 aprile sul palcoscenico piccolo del Teatro Stabile Sloveno di Trieste.

Prendendo spunto dalle vite di tre alpinisti triestini, Emilio Comici, Enzo Cozzolino e Tiziana Weiss, lo spettacolo racconta l’eterno rapporto tra l’uomo e la montagna, dove ogni scalata è una sfida contro se’ stessi, contro la forza di gravità, contro i limiti del corpo umano ma anche, ai massimi livelli, una forma d’arte.

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Rubando le parole ad Emilio Comici

Io intendo l’alpinismo soprattutto come arte, come, per esempio, la danza o, se vuoi, l’arte del violino… Perché se sei padrone assoluto della tecnica dell’arrampicare, puoi facilmente dare espressione ai tuoi sentimenti, proprio come nella musica e nella danza.

Tre triestini, figli del mare che, in epoche diverse, si sono innamorati della montagna.

Emilio Comici, l’Angelo delle Dolomiti, che a cavallo tra gli anni 30 e 40 per primo considerò l’alpinismo come una forma di danza. Morirà per un banale incidente; un cordino si ruppe mentre si stava allenando.

Seguendone in qualche modo la scia, negli anni 70 troviamo Enzo Cozzolino, l’amante dell’arrampicata libera. Talmente innamorato della montagna che pensava che anche piantare i chiodi per favorire un’ascensione poteva rivelarsi come una violenza fatta alla roccia. Morirà giovanissimo a 23 anni dopo aver battuto diversi record.

Tiziana Weiss di Cozzolino è stata prima allieva e poi compagna di vita. Ne ha appreso l’etica e l’estetica e ne ha anche, purtroppo, condiviso la morte prematura causata dalla caduta per un nodo non stretto bene.

Uno spettacolo complesso

Uno spettacolo complesso quello di Marko Sosič perché si alternano vari piani narrativi e varie epoche ma sicuramente interessante. Così com’è interessante la scelta di rappresentarlo sia nella sua lingua originale, lo sloveno, sia in lingua italiana frutto della collaborazione tra il Teatro Stabile Sloveno ed il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia.

Un unico testo, un’unica regia, un’unica scenografia ma due cast distinti : Lara Komar, Riccardo Maranzana e Filippo Borghi per la versione italiana; Maruša Majer, Primož Forte e Tadej Pišek per la versione slovena.

Si può scegliere quindi di assistere alla rappresentazione di una delle versione ma anche di entrambe poiché vanno in scena in successione con un piccolo intervallo tra l’una e l’altra.

Ovviamente non abbiamo resistito alla ghiotta occasione e le abbiamo viste entrambe.

Parlando di compagnie stabili è inevitabile che, pur partendo dalla stessa regia ed arrivando al medesimo ottimo risultato, poi i due cast affrontino il testo con delle sfumature che ne contraddistinguono la scuola di recitazione; più melodrammatica quella italiana, più naturale quella slovena.

Ma, aldilà delle succitate sfumature, l’impronta di Matjaž Farič, regista e coreografo, è forte e decisa fino a fargli scegliere personalmente le musiche e soprattutto le indispensabili proiezioni che consentono al pubblico di immaginare la maestosità della montagna quando di fronte si ha solo il piano orizzontale del palcoscenico.

Una prova teatrale, non solo per il valore drammaturgico, ma anche per la prestanza, dal punto di vista fisico, degli stessi attori.

La resa scenica, grazie ai movimenti, riesce a portare il pubblico sulla montagna con i protagonisti durante la scalata.

Uno spettacolo articolato e complesso che costringe ad una riflessione, lunga un’ora e mezzo, su quanto l’uomo sia sempre stato tentato di spingersi oltre i propri limiti.

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