Le beatrici di benni… tutt’altro che angelicate

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di Giulia Paciotti

Dopo il debutto al Festival dei Due Mondi di Spoleto e un primo appuntamento a roma ai giardini della filarmonica, Le Beatrici varcano la soglia del teatro Sala Umberto. Dal 16 al 22 ottobre lo spettacolo di Stefano Benni implode col suo sarcasmo sempre più libero e acutamente somministrato al suo pubblico. Se in televisione gli argomenti “Italia e crisi” sono oggetto di sbuffi, sguardi accigliati e parole bisbigliate e intimorite, qui sul palco diventano uno spettacolo allusivo e ironico modellato dal tatto femminile e dalla penna di un grande scrittore.

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Nella storia delle letteratura molte donne hanno ispirato gli artisti, nella storia dell’uomo molte donne sono state solo un’ombra. Beatrice si libera dai versi di Dante che la imprigionano nella sua veste di donna angelicata, per dare il suo nome all’intero genere femminile proiettato nelle sei protagoniste: Beatrice, la teenager, la donna manager, la suora, la donna in attesa e la licantropa sono paradossi e metafore della società di oggi. La sala è carica di brusii ansiosi, le luci si abbassano, il silenzio che precede l’inizio dello spettacolo è in attesa, ma il sipario non si apre. Le attrici arrivano tra i corridoi della platea, si guardano intorno un po’ spaesate, con le valigie in mano. Si dirigono frettolose verso il palco e salgono su, un po’ maldestre e goffe, prima una gamba poi l’altra, aiutandosi tra loro, mentre una delle cinque va ad aprire il sipario. La scena è vuota, riempita solo dalla loro presenza, dalle loro voci e dal suono di piccoli strumenti con cui loro stesse creano l’atmosfera dei monologhi. “Presente in tutti i brani è il corpo, come centro di vita. Cambiamenti e trasformazioni nella licantropa, voglie nascoste nella Beatrice e nella suora. Il corpo è il luogo in cui la donna più dell’uomo impara a scrivere la sua storia”, spiega una della attrici.

Così Beatrice (Gisella Szaniszlò) si presenta al centro del palco, seduta davanti a un banchetto legge le carte e il suo futuro. Apre al pubblico la sua vera personalità, liberata dall’idealistica visione cristallizzata di Dante, che lei chiama “canappione”. Una ragazza giovane, vivace e desiderosa di incontrare l’amore, ben poco felice di aspettare di essere cantata in versi. Col suo accento toscano chiede al pubblico: “Non sono abbastanza seria? Non sono abbastanza angelicata? Eppure l’ha detto anche lui “tanto gentile e tanto onesta…pare!”. Si riunisce poi alle sue compagne per cedere il posto agli altri monologhi. La suora indemoniata (Valentina Virando) è un personaggio dirompente e colorito, a dispetto della leggera comicità solitamente riservata alle donne, che si astiene dal premere l’acceleratore sui toni più forti, riservati alle parti maschili. La presidentessa (Elisa Marinoni) che con freddo cinismo e ironia grottesca trova una soluzione amara alla questione dei licenziamenti. La teenager (Alice Redini) che vive in un mondo dove Wings, omicidi e pedicure sono posti sullo stesso piano. La licantropa, recitata da tutte le cinque attrici, è un personaggio lontano da qualsiasi stereotipo, il “diverso” che intimorisce ma a cui “ci si abitua”, che mangia la parte del mondo che gli aspetta, un po’ come tutti, in fondo.

Nel buio dell’angoscia compare poi una vera donna (Valentina Chico), quella che aspetta e soffre, che vive in modo attivo la sua struggente attesa, descritta così dall’attrice: “Si rimane sospesi, inchiodati alla consapevolezza della propria condizione. L’attesa è una condanna e una redenzione. Si tratta di un sentimento che ci isola ma che sancisce la nostra forza. La condizione di solitudine iniziale si dissolve in un panorama ben più ampio di un’umanità intera che aspetta”.

Benni rappresenta la sua epoca e la risveglia, la rianima affidandola alle Beatrici, donne che rifiutano Dante e l’Amor Cortese, che denunciano “una generazione che non riconosce nemici e non oppone resistenza ma accetta.”, spiega A. Redini. I concetti di solitudine e individualismo, di società e stereotipi sono accarezzati da Benni di continuo, come in attesa di un riscatto, una speranza che abita e si rifugia in un tempo più lungo della politica e dei media, il tempo della letteratura.

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