Dal 16 ottobre al 21 dicembre la produzione Dear Friends, ArtistiAssociati- Centro di produzione teatrale porterà in tournée per tutta l’Italia l’irriverente commedia di Oscar Wilde “L’importanza di chiamarsi Ernesto”.

La verità è pura di rado e semplice mai“, una frase tanto acuta e pregnante che poteva nascere solo dalla penna di Oscar Wilde. La battuta riassume perfettamente lo spirito della sua commedia “L’importanza di chiamarsi Ernesto” e viene declamata da Algernon, uno degli esuberanti protagonisti della commedia, nonché il personaggio interpretato da Luigi Tabita nella nuovissima produzione che debutterà fra poco. In occasione del debutto della tournée, l’interprete Luigi Tabita ci ha concesso una meravigliosa intervista per parlare del suo personaggio, della commedia e della freschezza con cui ancora oggi torna a far ridere e riflettere gli spettatori dopo più di un secolo.

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La commedia

“L’importanza di chiamarsi Ernesto” debuttò il 14 febbraio 1895 a Londra e racconta la storia di Jack Worthing, ricco gentleman inglese dalla doppia vita. Quando veste i panni di Jack, vive in campagna un’esistenza moralmente ineccepibile e assolve i suoi doveri di tutore della giovane Cecily Cardew, nipote di Mr. Thomas Cardew, padre adottivo di Jack. Una volta in città, invece, diventa Ernest e può dedicarsi ai suoi svaghi sotto mentite spoglie. Ed è proprio in quanto Ernest che si innamora e chiede la mano di Lady Gwendolen Fairfax, cugina di Algernon Moncrieff, amico di vecchia data di Jack. Tuttavia, Algernon presto scopre la vera identità di Jack e lo segue di nascosto nella sua tenuta in campagna, dove si finge suo fratello di nome Ernest e si innamora di Cecily. Tra bugie ben elaborate e spassose incomprensioni, le cose si complicano quando Gwendolen e Cecily finiscono per incontrarsi e arrivano a credere di dover sposare lo stesso uomo, Ernest.


Una farsa o un capolavoro?

Il titolo originale recitava “L’importanza di chiamarsi Ernesto. Una commedia frivola per persone serie” e all’inizio venne considerato quasi una farsa, non all’altezza del genio di Wilde. Tuttavia, Oscar Wilde sapeva come veicolare riflessioni profonde e taglienti denunce attraverso modi affabili e un’ironia brillante. La commedia può apparire come uno “scherzo paradossale” e i suoi personaggi possono sembrare superficiali, ma qui sta l’intenzione dell’autore. Wilde voleva attaccare la buona società dell’Inghilterra ottocentesca, il suo finto e vuoto perbenismo, il suo attaccamento alle apparenze e alle convenzioni. Non per niente, Gwendolen e Cecily affermano di poter sposare solo un uomo di nome Ernest, poiché il nome stesso esprime fiducia essendo molto simile nella pronuncia all’inglese “honest”, dimostrando così di tenere più all'”etichetta” che alla persona in sé.

In ogni caso il debutto fu un trionfo e negli anni la fama di questa commedia rimase costante, venendo anche trasferita sul grande schermo nel 2002 con interpreti quali Colin Firth, Rupert Everett, Judi Dench e molti altri.


L’intervista di Luigi Tabita

Oggi “L’importanza di chiamarsi Ernesto” torna a vivere in scena grazie alla brillante regia di Geppy Gleijeses e alle incredibili interpretazioni di Lucia Poli, Giorgio Lupano, Maria Alberta Navello, Luigi Tabita, Giulia Paoletti, Bruno Crucitti, Gloria Sapio, Riccardo Feola. Luigi Tabita, camaleontico e sofisticato interprete che vestirà i panni di Algernon, ce ne ha parlato a pochi giorni dal debutto.

Il tuo personaggio, Algernon Moncrieff, può sembrare un dandy frivolo e vivace, ma è anche astuto e brillante. Come hai dato corpo e profondità al personaggio senza renderlo una macchietta?

Ho cercato di non fermarmi all’apparenza. Algernon è sicuramente brillante, ironico, divertente, ma dietro c’è anche intelligenza e un modo tutto suo di guardare il mondo. Ho lavorato per far emergere questi due lati insieme: quello leggero e quello più profondo. È un personaggio che gioca molto, ma non è uno sciocco. Anzi, spesso è lui quello che capisce tutto prima degli altri. Quindi, senza rinunciare alla comicità, ho cercato di dargli verità e autenticità.

Ti sei lasciato influenzare da interpretazioni precedenti, come quella di Rupert Everett? E quanto lo spettacolo si rifà alle versioni passate? Cosa c’è di nuovo?

Le versioni precedenti, come quella di Rupert Everett, le conosco e le ho apprezzate, ma ho cercato di non imitarle. Ogni attore deve trovare la propria strada, il proprio modo di vivere un personaggio. Di sicuro ho preso ispirazione dal ritmo, dalla leggerezza e dalla raffinatezza di certi interpreti, ma poi ho portato me stesso nel ruolo.

Anche lo spettacolo nel suo insieme ha una sua impronta originale: pur rispettando il testo e l’epoca, abbiamo lavorato per rendere tutto più vicino al pubblico di oggi, nei tempi, nel linguaggio del corpo, nel ritmo scenico. È una commedia classica, ma la nostra versione ha qualcosa di fresco, di molto vivo.

Hai già lavorato con Geppy Gleijeses in “Arsenico e vecchi merletti”. Cosa rende forte la vostra collaborazione, soprattutto nella comicità?

Con Geppy c’è un rapporto di stima e fiducia. Lui ha una grande esperienza e un amore profondo per il teatro, e ti guida con precisione ma senza mai toglierti libertà. Ti dà i tempi giusti, ti aiuta a trovare la battuta, ma ti lascia anche lo spazio per sperimentare, per provare, per sbagliare. Nel comico è fondamentale: servono ritmo e tecnica, ma anche spontaneità. Lavorare con lui è sempre un’occasione per crescere, sa come far funzionare una scena comica senza svuotarla di significato.

“L’importanza di chiamarsi Ernesto” è una commedia che si fonda sugli equivoci, sulle apparenze e sul potere delle parole. Spesso nella commedia sembra che valga di più il nome, l’apparenza, la facciata piuttosto che la persona in sé. Infatti Wilde denuncia la superficialità della società inglese di fine 800. Pensi che questa sua ironica sebbene tagliente critica potrebbe essere attuale ancora oggi? Magari nell’ambito dei social usati come vetrina e popolati da maschere, dove tutto è apparenza e il contenuto spesso passa in secondo piano?

Sì, assolutamente. Il tema dell’apparenza è più attuale che mai. Oggi, con i social, tutti si costruiscono una “facciata”: si mostrano solo le cose belle, i momenti migliori, e spesso si nasconde il resto. Wilde prendeva in giro il perbenismo dell’epoca vittoriana, ma il meccanismo è lo stesso anche adesso.

È come se oggi ognuno avesse un suo “personaggio” online, proprio come i protagonisti della commedia si inventano nomi falsi o doppie vite. Quindi sì, fa ridere, ma fa anche riflettere sul mondo in cui viviamo oggi.

In molti, quando la commedia debuttò nel 1895, si concentrarono sul sottotitolo “Una commedia frivola per persone serie”. I critici la considerarono poco più di una farsa piacevole e ben scritta e il giornale “The Era” pronosticò all’opera vita breve. Tuttavia, “L’importanza di chiamarsi Ernesto” ebbe un successo strabiliante e ancora oggi è forse la commedia più famosa di Oscar Wilde. Come mai pensi che scateni un così grande successo e diverta così tanto perfino dopo più di un secolo?

Perché è scritta benissimo e tocca temi che non passano mai di moda. Fa ridere, ma lo fa in modo intelligente, con ironia. Parla di amore, identità, verità e menzogne, e lo fa con battute brillanti e personaggi irresistibili. Anche se è ambientata nell’Inghilterra dell’Ottocento, sembra ancora attuale. E poi il pubblico si diverte, si riconosce in certe dinamiche. È una commedia che, anche dopo 130 anni, continua a far ridere e pensare. E questo è il segreto del suo successo.

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