Magazzino 18. Cristicchi ricorda le vite dimenticate

1782

Come si fa a morire di malinconia per una terra che non è più mia ?
Che male fa aver lasciato il mio cuore dall’altra parte del mare

E’ difficile scrivere di uno spettacolo che mi ha commosso fino alle lacrime ma proverò ad essere imparziale.

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Magazzino 18
La locandina dello spettacolo

Simone Cristicchi, accompagnato dai ragazzi del laboratorio StarTS Lab e con le musiche eseguite dalla FVG Mitteleuropa Orchestra diretta da Valter Sivilotti, porta in scena per il terzo anno consecutivo, e 100.000 spettatori (di cui 17.000 solo a Trieste), il suo Magazzino 18 e la storia delle “stragi negate” delle foibe dell’Istria e della Dalmazia, terre italiane, annesse alla Jugoslavia di Tito dopo la guerra e degli esuli italiani costretti a lasciare le loro terre perché era a rischio la loro stessa sopravvivenza. Italiani di Serie B visto che a sessant’anni dalla fine della guerra la loro storia è ancora ignara ai più.

In questo spettacolo, scritto con Jan Bernas e diretto con profonda sensibilità da Antonio Calenda, ci pensa quindi Cristicchi a raccontare cosa racchiude quel magazzino e lo fa da artista libero senza avere la presunzione di portare a termine una lectio magistralis bensì di affrontare con forza, semplicità e poesia in un’ora e quarantacinque una delle vicende più controverse della nostra recente storia.

Si parte dal Magazzino 18, al porto vecchio di Trieste. Un enorme deposito di duemila metri quadri dove si trovano accatastati mobili, effetti personali, stoviglie, fotografie in bianco e nero, semplici giocattoli che

a camminarci in mezzo, si sente la presenza delle persone che li hanno posseduti, si inciampa nella loro vita “inciampata” nella Storia. Tra essi riposa, non in pace, la loro vita quotidiana.

Dopo il trattato di pace del 1947 infatti, che fa perdere all’Italia quelle terre bellissime dell’Istria e della Dalmazia, molti degli esodati, gli italiani costretti a lasciare le loro case, portano le loro cose al Magazzino 18, nella speranza di tornare a riprenderle.

E’ un lungo monologo a due voci:  la prima, quella di tutti noi che in buona fede non sappiamo, è affidata al Ragioniere Persichetti, un archivista romano all’apparenza sempliciotto ma non stupido, mandato dal Ministero a fare l’inventario di un magazzino e che, imbattendosi per la prima volta nella parola Esodo, ci accompagna negli inferi della Storia cominciando a provare empatia per queste vite dimenticate; e poi c’è la voce dello Spirito delle Masserizie, a cui è affidato il compito di dar voce a quegli oggetti, a quelle sedie, alle lettere, alle fotografie racchiuse nel magazzino con una forza deflagrante, apparentemente alleggerita dai momenti cantati.

Impariamo così a conoscere Domenico 27 anni, postino, che preso di notte da casa per una formalità, viene gettato vivo in una foiba; oppure Norma Cossetto, 23 anni, laureanda in lettere, la cui unica colpa è essere stata figlia di un locale gerarca fascista, morta dopo aver subito sevizie per una notte intera da parte di diciassette bestie.

O ancora della strage di Vergarolla, avvenuta il 18 agosto 1946 sulla spiaggia di Vergarolla a Pola dove si sarebbero dovute tenere le tradizionali gare natatorie e causata dall’esplosione di materiale bellico che portò alla morte di cento persone ed al ferimento di altre due cento.

Da questa vicenda spicca la figura del dottor Geppino Micheletti che, malgrado la perdita di due figli di sei e nove anni nell’esplosione, rimase in ospedale a curare i feriti nelle successive 24 ore.

Poi prese le sue cose e se ne andò per non tornar mai più dicendo

non voglio un giorno dover curare gli assassini dei miei figli

Gente in fuga da quella assurda violenza che fu accolta alla stazione di Bologna da bandiere rosse di operai e ferrovieri al grido di criminali perché, questa era l’opinione diffusa all’epoca, se scappavano da territori comunisti dovevano per forza essere dei pericolosi fascisti. A Bologna neppure la Croce Rossa poté avvicinarsi a quel treno colmo di donne e bambini diretti in qualche campo di prigionia dove dovevano passare dieci anni della loro esistenza prima di essere lasciati liberi.

Cristicchi non dimentica neanche chi, in qualche modo, ce l’ha fatta, si fanno i nomi di Alida Valli, Laura Antonelli, Nino Benvenuti e a Sergio Endrigo l’intero teatro intona Io che amo solo te.

Gli sconfitti in questa vicenda non sono solo gli esuli, anche i rimasti, perché troppo vecchi o troppo disorientati, subirono l’accerchiamento da parte dei comunisti titini subendo angherie e violenze, vivendo con la paura ogni giorno di essere catturati dalla polizia segreta jugoslava con una scusa qualsiasi. Ed infine ci sono anche i contro esuli, i cantierini monfalconesi pronti a ricongiungersi ai compagni slavi nel nome del grande ideale comunista e, per la maggior parte, morti a Goli Otok, il gulag costruito sull’omonima isola del Quarnaro, dopo la rottura tra Tito e Stalin, o  nell’inceneritore della risiera di San Sabba.

Ma scritta così sembra “solo” una lezione di Storia, invece è un monologo  c’è l’immenso talento di un artista, Simone Cristicchi, che riesce a dar voce a tutti i suoi personaggi, costringendo il pubblico a sentirsi ogni minuto di più il Ragionere Persichetti affondando con lui e  provando la stessa empatia per quegli oggetti e le loro storie.

E poi  il colpo finale per noi, poveri spettatori già abbondantemente sferzati nell’anima, in cui Cristicchi, di fonte ad una platea che in piedi applaude commossa, ringrazia tutti indicando  i presenti-assenti rappresentati da quelle sedie vuote del Magazzino 18.

Il cercare di essere imparziale dopo aver visto uno spettacolo così emozionante purtroppo fa si che raccontandolo si possa diventare asettici,  si perdano delle parole, che non si riesca a trasferire su carta quanto di bello si è visto e provato, e ci si sente talmente impotenti con la nostra penna virtuale in mano che l’unico consiglio che mi viene da darvi è : andatelo a vedere.

Quando domani in viaggio
arriverai sul mio paese
carezzami ti prego il campanile
la chiesa, la mia casetta

Fermati un momentino, soltanto un momento
sopra le tombe del vecchio cimitero
e digli ai morti, digli ti prego
che non dimentighemo.

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