Graziano Locatelli non ama definirsi un artista: un termine, a suo avviso, talmente inflazionato da aver perso il suo significato.

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Graziano è uno scultore, ma forse anche questa definizione è suscettibile di revisione perché le sue opere sono il frutto di una ricerca che va oltre una semplice spiegazione tecnica, i suoi lavori raccontano un percorso complesso che ha origine nei ricordi dell’infanzia.
Graziano riesce a dare corpo alla coscienza onirica, la materia si trasforma e incarna visioni, memorie, sogni. L’ho incontrato un pomeriggio soleggiato a Roma per chiedergli quali fossero i luoghi dell’inconscio che hanno scaturito e dato vita alla sua arte.

La prima cosa che ho letto sul tuo conto riguarda quello che un tempo era il tuo mestiere: nei cantieri dove facevi il muratore hai iniziato a trovare ispirazione per i tuoi lavori. Quando il cantiere ha rappresentato altro, qual è stata la scintilla?

Il cantiere è stata la mia accademia, ho imparato a conoscere i materiali ed i loro modi d’impiego. In realtà ammetto che la scintilla è scattata molto tempo prima di questa esperienza. Un avvenimento in particolar modo mi ha segnato. Nel 1995, la data che per l’appunto ha dato il titolo alla mia opera, (n.d.r. si tratta dell’opera in copertina) mio padre decise di cambiare casa. Ricordo che durante le fasi del trasloco l’abitazione rimase completamente vuota, ma gli oggetti, un tempo presenti nell’appartamento  avevano impresso la loro presenza attraverso i segni neri incisi sulle pareti. Io riuscivo a vedere sulle piastrelle della cucina ancora il disegno dei mobili che arredavano la stanza, ma questi non c’erano più, rimaneva solo un grande vuoto, un senso di malinconia. Sapevo che la casa mi stava chiamando,  le sue mura erano colme dei miei ricordi. Da questo episodio ho concepito l’idea di una presenza che esce da un muro di piastrelle, quell’essere rappresenta il ricordo, è la sua incarnazione.

La visione delle tue opere non lascia una sensazione di quiete, anzi ha un germe di tormento. Cosa sono, secondo la tua esperienza, i luoghi dell’inconscio?

Qualsiasi essere selvaggio messo in cattività produce rancore verso se stesso e verso l’ambiente che lo circonda. Nel mio io risiede questa componente selvaggia, ne è parte integrante.
Provengo dalle valli bergamasche dove la natura è la protagonista assoluta, in quei luoghi riesco a trovare me stesso, le mie opere ne sono impregnate. Nella mia ultima mostra, da poco terminata, (n.d.r. presso la Interazioni Art Gallery di Roma intitolata “Frankie: i luoghi dell’inconscio”) ho voluto citare i luoghi a me familiari a cui sono collegate le mie esperienze di ragazzino. Il luogo è la metafora dell’esistenza umana, il centro della nostra identità, anche il racconto di un sogno comincia sempre con l’enunciazione di una posizione geografica. Il luogo è il protagonista assoluto, l’uomo si identifica con esso.

Allacciandomi alla tua concezione del sogno, vorrei citare un passo di Mario Ariò che penso chiarisca la labile differenza tra reale e irreale. Egli afferma che : “ Il reale dovrebbe comprendere tutto quello che c’è e che accade in qualsiasi forma e in qualsiasi luogo. Anche il sogno più folle è reale, perché esiste; è talmente reale che può avere ripercussioni molto fisiche”. In queste righe credo di aver rintracciato la genesi del tuo lavoro.

Una cosa che accomuna chi cerca di fare del proprio pensiero una forma, è la continua ricerca di un linguaggio che possa descrivere certe sfumature dell’inconscio. Se tu mi chiedessi a quali sfumature mi riferisco io non saprei delineartele, alle volte mi trovo io stesso sorpreso di alcuni gesti che compio perché non mi conosco così bene nel profondo e cerco negli altri risposte che non so darmi. Credo fermamente che, dopo aver conosciuto la metà della gente, posso ritenere di conoscere metà di me stesso. Io mi identifico nei gesti altrui come fossero tasselli che possiedo per sondare il mio essere. L’arte è qualcosa che prende possesso dei tuoi modi di fare, ha la capacità di dare forme a delle idee inconsce che non riusciresti a spiegare solo con le parole. Potrebbe suonare come una banalità, ma l’arte è il linguaggio della nostra anima.

Attraverso questa serie di interviste che ho intitolato “il mestiere dell’arte” sto cercando di capire che ruolo ricopre l’artista nella nostra società. Qual è il tuo ruolo, Graziano?

Più che un ruolo sento di essere investito da una missione. La mia missione, secondo il mio modo di vedere, consiste nel rendere giustizia ad un mestiere che negli ultimi anni ha avuto fin troppe contaminazioni. Io voglio contaminarmi il meno possibile, il mio scopo è quello di formare me stesso e di rendere giustizia al mio essere.

Come ultima domanda vorrei chiederti d’ora in avanti cosa ti aspetta, hai dei progetti a cui stai lavorando?

La mostra allestita ad Interazioni è stata un punto di partenza. Ho intenzione di continuare inseguendo i miei scopi. Sto cercando di concludere per una esposizione a Milano e sicuramente cercherò di sfruttare questo momento favorevole perché ho capito che è stato colto il messaggio che volevo lasciare. Curerò i vari stili che ho intrapreso e mi impegnerò a lavorare su questo.

 
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