Dal 14 al 19 gennaio arriva al Rossetti il monologo “Proprietà e atto”; per la prima volta in Italia.

Lui è il narratore del profondo monologo “Proprietà e atto”, opera del brillante drammaturgo contemporaneo Will Eno. Ed è in un palco quasi vuoto che lui arriva, al buio e da solo. Poi le luci si accendono e lui, Francesco Mandelli, si siede sull’unica sedia presente.

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Indossa vestiti puliti ma le sue scarpe sono consumate. Sorride cordialmente ma allo stesso tempo c’è malinconia nei suoi occhi quando ci chiede di non odiarlo. Infatti Mandelli interpreta un immigrato straniero e pare cosciente del fatto che il pubblico potrebbe rivelarsi diffidente. Non rivela il suo nome, ma non ce n’è bisogno. Basta il resto del monologo a farci conoscere il suo personaggio incredibilmente a fondo.

Per un’ora Mandelli ci racconta della sua vita passata in una patria che non nomina, di tradizioni e consuetudini a noi sconosciute. E noi intanto lo ascoltiamo rapiti e un po’ confusi. Lui giudica ma non critica, si guarda intorno e tenta di conoscerci attraverso il paragone della nostra realtà con la sua.

Non servono dettagli futili come la nazionalità del personaggio oppure il suo lavoro perché il messaggio espresso è universale. Mandelli parla di famiglia, amore, identità, di vita e di morte e di tutto ciò che sta in mezzo. Con gli spettatori si confida, interagisce con loro, e così instaura un legame intimo fatto di condivisione. Non manca neanche un tocco di comicità; biglietto da visita di Francesco Mandelli sul grande schermo.

Tuttavia non bisogna aspettarsi di trovare sul palco una versione teatrale di Ruggero De Ceglie (famoso personaggio di Mandelli nel film comico demenziale “I soliti idioti”).

In “Proprietà e atto” Mandelli dà sfogo alla sua anima drammatica: passa dalla gioia al dolore, dalla commozione alla frustrazione, rimanendo sempre vero e credibile. La scenografia è minimale ma carica di significato. Infatti dietro Mandelli c’è solo un pannello in legno formato da due tavole. Il materiale delle due tavole è lo stesso sebbene esteriormente siano striate in maniera differente. Lui è seduto proprio sul confine tra quei due pannelli.

Forse le tavole simboleggiano l’umanità, formata da gruppi di persone uguali eppure apparentemente diversi. E forse stando nel mezzo lui si identifica come straniero, figlio di nessuna terra e di tutte.

Grazie quindi all’attenta regia di Leonardo Lidi e al profondo testo di Will Eno prende forma uno spettacolo che attrae e che fa riflettere. Ed è così che qualcosa può definirsi arte: quando fa fiorire nuove idee ed emozioni nelle menti e nei cuori del pubblico.

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