Dopo la trasfigurazione di Scannasurice e l’inquietudine di Bordello di mare con città di Enzo Moscato, Imma Villa si cala ora nei panni insidiosi di Regina madre di Manlio Santanelli, gioiello prezioso della drammaturgia contemporanea italiana, una coproduzione Elledieffe e Teatro Elicantropo: eversione straordinaria al suo debutto nel 1984, trasformata in classico, reinterpretato, e in parte riscritto, dall’acume registico di Carlo Cerciello. Sul palco, accanto o contro questa madre, si trova anche Fausto Russo Alesi, già partner nella fortunata edizione della Fedra di Seneca al Teatro Greco di Siracusa.

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Prima del debutto al teatro Piccolo Eliseo di Roma, dove resterà in scena dal 7 al 17 marzo, incontriamo Imma Villa, già vincitrice del Premio Mario Mieli per il Teatro 2018 istituito dal Circolo Mario Mieli di Roma. Imma ci racconta alcuni aspetti del suo lavoro e della sua vita d’attrice.

Partiamo dall’identità: nella costruzione di un personaggio come inizia il tuo lavoro? Cosa individui di te, o cosa perdi, per arrivare a trovare l’identità dell’altro?

Io cerco di cancellare, ogni volta,  la mia identità, lavoro ai personaggi allontanandomi da me stessa, cerco di non mettere “Imma” nei personaggi che studio, non sarei in grado di costruire nulla, è ovvio che “Imma” esiste e porta in scena il personaggio, ma cerco di non partire da me, forse il tempo è l’elemento fondamentale e di grande importanza, bisogna avere tempo per tracciare quel solco che ti porta poi a seminare un’idea di personaggio, più tempo ho e più riesco ad allontanarmi da me stessa, più tempo ho e più riesco a creare una nuova identità.

Quanto conta l’elemento visivo in questa ricerca? E quello acustico?

Fondamentale sia l’uno che l’altro, quello che vedo, quello che sento, anche nella vita quotidiana, può essere oggetto di studio, la curiosità nei confronti degli altri, nelle cose che vedo o senti tutti i giorni, mi possono aiutare a sviluppare la fantasia, anche cose apparentemente “inutili” possono essere importanti.

Tu sei un’attrice che si esprime perfettamente in bilico fra due lingue: napoletano e italiano. Cosa trovi nell’una e cosa nell’altra? Quali difficoltà ti pone una rispetto all’altra, se te ne pone? Pensi che anche la lingua parlata o scritta sia parte di una ricerca di identità?

Sono fiera di essere napoletana. Se conosco la lingua napoletana, devo ringraziare mio padre che mi ha insegnato a parlarla bene, perché non è per niente facile come sembra e sono fiera, ogni volta di recitare in napoletano, ma ogni medaglia ha il suo rovescio; spesso capita che mi chiedono se ho difficoltà a lavorare su testi italiani e so che questo succede anche a molte attrici e attori napoletani, ma il napoletano è una lingua meravigliosa, filosofica, onomatopeica, una lingua profondamente teatrale, così come lo è l’italiano dei grandi autori, che hanno dimostrato che l’emozione di un testo va al di là della lingua. Da piccola amavo vedere in tv le commedie di Gilberto Govi e anche se non comprendevo tutto quello che diceva, il concetto mi era chiaro lo stesso.

foto di scena di Regina madre (con Imma Villa) di Salvatore Pastore
foto di scena di Regina madre (con Imma Villa) di Salvatore Pastore

C’è stato un personaggio che non hai raggiunto, del quale non sei stata pienamente soddisfatta?

Non sono mai soddisfatta del lavoro che faccio, per me il teatro è sabbia nel vero senso della parola, ogni giorno che passa le cose cambiano e cambiano anche i miei pensieri nei confronti del personaggio a cui sto lavorando, le prove non finiscono mai, neanche l’ultimo giorno di replica, si può sempre aggiungere o togliere qualcosa e non parlo delle battute. Ogni personaggio che ho affrontato resta, in un certo senso, irrisolto o aperto ad altre possibilità.

Uno invece che ti ha sovrastata, facendoti scoprire qualcosa in più della tua identità?

Sì, quando Carlo Cerciello ha deciso di affrontare Quartett di Heiner Müller, ho fatto un passo indietro e gli ho detto: “non ce la farò mai”. Fino a quel giorno avevo sempre affrontato personaggi “passionali” e quel testo appariva a prima vista cinico, freddo. Il personaggio di Merteuil è un personaggio cerebrale, algido, apparentemente distaccato. Bisognava lavorare proprio su quell’ “apparentemente”, lavorare moltissimo, come non mi era mai capitato prima. Non so se ci sono riuscita, ma è stato bello lavorare ai miei limiti, mi ha dato forza.

Hai interpretato più volte il ruolo di “madre”, per LA MADRE di Bertolt Brecht hai anche ottenuto splendidi riconoscimenti: che madri erano? Com’è invece questa Regina Madre? Potresti definirla rispetto alle altre che hai “incontrato”?

Sono legatissima a LA MADRE di Bertolt Brecht, tratto dall’omonimo romanzo di Maxim Gorki, che narra la storia di Pelagia Vlassova che, convertita al pensiero politico del figlio Pavel e dei suoi amici, viene coinvolta nelle loro azioni clandestine e per questo chiamata da tutti La Madre. Questo testo voluto fortemente da Carlo Cerciello, non viene messo in scena quasi mai, gli si preferisce il più famoso MADRE CORAGGIO. Con grandi sacrifici siamo riusciti a portarlo in giro ed è stato emozionante recitare a Gattatico al Museo Cervi, nell’ambito del “Festival Teatrale di Resistenza – Teatro per la Memoria”, dove abbiamo vinto il premio come migliore spettacolo. Ecco, quella è stata un’avventura  davvero emozionante.

REGINA MADRE è un bellissimo testo che affronta il rapporto tra madre e figlio, un’altalena di emozioni, dal grottesco al drammatico. Regina Giannelli, questo è il nome del personaggio, è una donna che, inconsapevole degli effetti nefasti del suo comportamento sui figli, appare, suo malgrado, comica, o forse meglio, inconsapevolmente tragica.

foto di scena di Regina madre (con Imma Villa) di Salvatore Pastore
foto di scena di Regina madre (con Imma Villa) di Salvatore Pastore

Ci sono elementi dei tuoi personaggi – dettagli, gesti, inflessioni, espressioni ecc – che si trasformano in un tuo alfabeto interpretativo, che diventano parte di te nelle ricerche successive?

Cerco di lavorare sempre partendo dal corpo, il gesto per me è “parola”.  Quando i bambini piccoli giocano, non hanno bisogno di parlare per capirsi, il loro comportamento è semplice, chiaro, limpido, i loro gesti non hanno bisogno di parola, perché sono già “parola”;  ecco io parto da lì, i gesti mi aiutano a costruire il significato delle parole, questo avviene nella prima parte della costruzione del personaggio, perché nella fase successiva, quando ho incamerato il significato delle parole, quel gesto può anche non esserci più.

Hai paura di perdere Imma in questa folla di persone sceniche? Oppure l’elemento razionale riesce a salvarti?

Come ti dicevo prima, ”Imma” non potrei mai perderla, mi sento una persona con i piedi per terra; essere attrice non significa mettere in gioco la propria identità, ma giocare a costruirne altre.

Come ricordi la tua prima volta in palcoscenico? 

La primissima volta? E’ stata un’esperienza bellissima, avevo 12 anni, dovevo recitare una poesia e quando sono entrata nel teatro sono rimasta, non so quanto tempo, ferma immobile a guardare il palcoscenico, ho sentito un’attrazione incredibile e quando sono salita sopra e ho recitato la mia poesia mi sono sentita felice e non volevo più scendere.

Quale rapporto ha l’infanzia, che è un’età di fantasia, con il teatro? Quale l’età adulta, con la sua necessaria razionalità?

Il teatro è il recupero dell’infanzia, il ritorno al gioco rigoroso del bambino.

foto di scena di Regina madre (con Imma Villa) di Salvatore Pastore
foto di scena di Regina madre (con Imma Villa) di Salvatore Pastore

La scelta di fondare il teatro Elicantropo da dove è nata? A distanza di più di vent’anni puoi fare un bilancio?

È stato Carlo Cerciello, il mio compagno, al quale devo tutto, è stato lui che ha sentito la necessità di costruire una “casa” dove poter studiare, provare, progettare nuovi lavori, io l’ho seguito ad occhi chiusi, ed è stata la nascita di qualcosa di “importante” per noi; non sapevamo dove ci avrebbe portati, ma oggi so che l’Elicantropo è la nostra “creatura”, dove ancora oggi lavoriamo, studiamo e progettiamo come il primo giorno, con la stessa forza, la stessa passione. Quando sono lì il tempo si ferma, mi sento felice.

Come è cambiato il modo di fare teatro (in senso ampio, ma soprattutto dal punto di vista organizzativo ed economico) dal tuo debutto?

Questo mestiere prima era considerato “precariononaffidabile” dal punto di vista economico,  gli attori più anziani mi raccontano sempre che non era facile né lavorare, né metter su uno spettacolo, sempre tutto molto difficile, sempre pochi soldi da dividere in tanti. Oggi è ancora così, ma a differenza di tanti anni fa anche quelle professioni “sicure” sono diventate precarie, tutti hanno difficoltà a trovare lavoro o a “conservarlo”. Sì forse qualcosa è cambiato: è cambiato che anche chi aveva un lavoro sicuro adesso è precario come “noi”.

Molte tue colleghe lamentano l’assenza di parti adeguate per le donne in teatro e nel cinema: tu cosa ne pensi?

Sì è vero. Non ci sono molti ruoli femminili ben scritti. È anche vero che è fondamentale sapere cosa cerchi, cosa vuoi fare e perché lo vuoi fare. Non ho mai pensato di affrontare un personaggio senza una motivazione precisa, dunque, quando i testi non ci sono, ma la motivazione è forte, bisogna avere la pazienza e la caparbietà di cercarli, di inventarseli, di aspettare il momento giusto.

Se dovessi scegliere di interpretare un ruolo tradizionalmente maschile – come fece la Bernhardt con Amleto – quale sceglieresti?

Riccardo III, mi affascinano i personaggi “negativi”.

foto di scena di Regina madre (con Imma Villa) di Salvatore Pastore
foto di scena di Regina madre (con Imma Villa) di Salvatore Pastore

Lo scorso anno hai vinto il premio dedicato a Mario Mieli per Scannasurice: un testo per certi versi eversivo che attraverso uno specchio identitario racconta la città di Napoli. Molta parte della produzione napoletana si occupa di temi assai vicini alla comunità LGBT: penso a Ruccello, Moscato ecc. Come mai, secondo la tua esperienza, la cultura napoletana è così libera e analitica nell’affrontare questi argomenti? Quanto incide la storia della città in questo atteggiamento?

Avevo un grande desiderio di lavorare ad un testo di Enzo Moscato, quando ho letto Scannasurice sono rimasta fulminata da questo testo straordinario, magico. Ho chiesto a Carlo di leggerlo e gli ho detto: “vorrei lavorare a questo testo, anche solo studiarlo, non mi interessa che mi vengano a vedere, lo voglio studiare per me, perché sento che mi appartiene, sento dentro di me che, devo, studiare questo testo”. Lui lo ha letto, se ne è innamorato anche lui e mi ha regalato uno spettacolo straordinario.

Quando Enzo Moscato è venuto a vederlo, è stato felice del lavoro che abbiamo fatto e per noi è stata una grande emozione. Ringrazio la Elledieffe e Natalia Di Iorio se Scannasurice oggi ha ancora “vita”.  Lavorare su un personaggio dall’identità ambigua, il suo essere  “dentro” e “fuori” allo stesso tempo, il suo “non vivere” ma “sopravvivere”, ne costituisce il fascino assoluto. I femminelli di Moscato vanno molto al di là di una semplicistica diversità sessuale, rappresentano l’universale incompletezza umana, la ricerca di una perfezione e di un cambiamento che non si verifica ed in questo simboleggiano perfettamente Napoli e i napoletani.

Foto di scena di Regina madre di Salvatore Pastore
Foto di copertina di Jasmine Bertusi

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