Scrivere con la luce: la fotografia e la scrittura di Federico Aniballi si raccontano

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Federico Aniballi

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SEISHI – l’arte di dare la forma –

 

copertina

Scrivere con la luce: la fotografia e la scrittura si raccontano

“… il lento processo creativo tra l’uomo che cura e la creatura che si lascia curare, è indissolubilmente legato a ciò che gli orientali chiamano Seishi…” – Federico Aniballi –

Perché si sceglie di acquistare un libro piuttosto che un altro?

Cosa muove le mani, la fantasia e l’anima nella scelta di un titolo?

Credo che potrei rivolgere queste domande a tantissimi e otterrei altrettante risposte diverse.

La mia di risposta è semplice: non siamo noi a scegliere i libri, sono loro a scegliere noi.

“Seishi”, di Federico Annibali,  è un esempio di scrittura decisa e al tempo stesso intimista e per questo suscita  forti emozioni nel lettore,   una voce  quasi impossibile da non ascoltare .

Nicola è un grande fotografo. Famoso, importante, ricercato dalle più prestigiose agenzie di moda, presuntuoso e strafottente, chiede alle sue modelle l’anima. Le spoglia, le seduce e si lascia sedurre, le consuma con tutta l’arroganza che possiede, giustificando a se stesso questa ricerca di anima nelle pose, nella trasparenza delle immagini che cattura, perché lui la sua anima non la trova più. L’ha rinchiusa nel cinismo che nello stesso tempo lo rende visibile ai più e invisibile a se stesso.

Finché incontra lei, Adele. La sua anima. Ma questo Nicola non lo sa ancora.

È la passione portata all’ennesima potenza, è lo stravolgersi di tutti i concetti e preconcetti dell’artista, è desiderio di condivisione, di amore.

Quando tutto sembra collimare, nel procedere impetuoso della vita, i piani vengono ribaltati in maniera tragica.

E Nicola deve fare i conti con se stesso. Non rimarrà solo in questa gara con la vita. Ci saranno Mario e Rita, gli amici di sempre, Benito e Stefania, vite che si sfiorano quasi per caso, destinate a cambiare profondamente l’anima stessa di Nicola.

E il finale è li che aspetta di essere riscritto ogni volta che se ne termina la lettura.

Perché Seishi è tutto quello che ognuno di noi decide di leggervi.

Affiorano, tra l’altro, anche tematiche scottanti come l’anoressia e la bulimia che, in questo caso, rappresentano il vestito che si può sceglie di mettere o togliere alle proprie passioni.

Il lettore è libero di riconoscersi in Nicola o di detestarlo, di ritrovarsi in Adele o nelle tante bellissime modelle che si rincorrono e vengono immortalate in foto che vanno oltre la perfezione.

O forse in quello che è il protagonista, insieme a Nicola: un piccolo bonsai, simbolo della comunione fra arte e natura.

Scritto, come raccontatoci dallo stesso autore, di getto, in meno di un mese, cattura per lo stile veloce e nello stesso tempo descrittivo.

Capitoli brevi ma pieni di immagini e di riflessioni conducono il lettore in uno spaccato di vita, nei “Tempi del Tempo” come recita la poesia che introduce il primo capitolo.

Federico Aniballi è uno psicologo che lavora in ambito clinico ma è anche un fotografo, fra i pochi in Italia che utilizza la fotografia in campo terapeutico, come strumento d’eccellenza di accesso alla complessità dell’animo umano.

Seishi è il suo primo romanzo al quale ha fatto seguito un secondo lavoro “ Nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo”.

Lo abbiamo incontrato per parlare della sua avventura e del suo libro Seishi.

Attraverso le parole dello stesso autore si coglie la bellezza e la complessità di un libro che scorre velocemente, ma che sa lasciare in chi legge un respiro profondo di riflessione e consapevolezza.

Seishi è la storia di Nicola, un fotografo di successo e delle sue passioni. Cosa ha rappresentato per te scrivere questo libro?

È una parabola personale che nasce in un momento di impeto e allo stesso tempo terribile, perché avevo perso  il lavoro, (lavoravo in una clinica da cinque anni e non mi rinnovarono il contratto) e mi lasciai nello stesso periodo con la ragazza con la quale stavo.

Improvvisamente mi sono ritrovato quindi in un momento di grandissima amarezza e tristezza e una mia amica, terapeuta anche lei, mi disse: “queste emozioni così dure, così severe, dovresti provare a scriverle”.

Ho iniziato così a scrivere semplicemente le mie emozioni, e mi sono ritrovato a redigere un romanzo, e non c’è stato più il verso di staccarmi per 21 o 25 giorni mi pare, da questo lavoro.

Nell’altro libro ho lasciato annotato in quanto tempo è stato scritto mentre in questo ho tolto questa indicazione perché mi hanno fatto notare che messo in prima pagina sembrava voler dire “è una ciofeca”: pare che in 21 giorni non si possa scrivere una cosa buona.

Insomma, iniziai a scrivere 15 o 20 pagine così, di getto, e la figura del protagonista così “vomitevole”, è la cosa di cui mi preoccupavo realmente dal punto di vista letterario, perché capisco che colui che legge di una persona cinica, misogina, supponente, presuntuosa, non vive proprio un’immedesimazione di quelle straordinarie.

Mi sono messo ad osservare questo personaggio ( Nicola), per capire io stesso dove volesse andare a finire, perché non avevo assolutamente alcuna cognizione di quello che scrivevo, ed è questa la parte più affascinante e, allo stesso tempo, la parte che più mi manca della scrittura.

Io mi sorprendevo ad ogni capitolo perché mi chiedevo da dove uscissero i personaggi, perché non li pensavo, non pensavo né alla storia né a loro ma e loro uscivano e ovviamente, erano parti di me che venivano fuori.

Sistematicamente mi trovavo ad essere scrittore e terapeuta di me stesso.

Perché hai scelto questo tema? E altri temi come ad esempio l’anoressia e la bulimia?

Il problema è che se un giorno qualcuno copiasse questo libro e lo riscrivesse e io dovessi fargli causa, la perderei. Perché non mi ricordo nulla del libro e non te lo saprei giustificare se non dal punto di vista strettamente terapeutico. Su di me sono consapevole della  funzione ha avuto, ma della storia io non sono padrone.

La cosa straordinaria è che ad oggi sembra essere frutto di un’ esperienza professionale, perché di fatto come secondo lavoro faccio il fotografo, ma all’epoca no.

Era una parte totalmente celata che poi è venuta fuori.

Tu scegli di “chiamarti”, di renderti visibile con il tuo vero nome, in un solo momento e in quello più brutto e forte della storia quando, ( possiamo svelare in parte per non togliere il piacere della lettura e della scoperta a nuovi lettori) eri quasi completamente vinto dalla disperazione.

In realtà il protagonista si chiama Nicola perché i miei mi volevano chiamare così : dunque uno scambio costante di personaggi.

Certo è il momento più basso; se pensiamo che quando lo stavo scrivendo era il momento più animale della mia vita, dove la parte intellettiva, supponente mia personale era crollata ( perché da psicologo di un reparto ero diventato niente),  in qualche modo la sodomia di quella scena, e più in generale il toccare il fondo, riguardava più Federico che non Nicola.

Dovevo togliere a Nicola quella parte più superficiale con cui mi coprivo, toccare il fondo; e forse quello era il momento in cui ero più me stesso.

Toccando il fondo mi sono risollevato. Da allora sono successe tante cose belle, meno rosee di quanto avessi all’epoca. Ho iniziato  a lavorare molto giovane e ho raggiunto in fretta un status sociale notevole…

..una sorta di bulimia di status…

Che poi è diventata un anoressia di status…con una frustrazione terribile.

Questo libro segna il passaggio a una maggiore consapevolezza, che poi è stata alimentata.

Dal punto di vista letterario non ho cognizione di quello che sia il reale valore del libro.

Non saprei spiegarti…leggo delle cose che non mi piacciono, e mi scoccia che il mio libro non abbia un posto, perché mi pare migliore di altre cose che leggo.

Il reale valore non glielo so dare ma, per intensità e autenticità di emozioni e di quello che ho scritto, credo sia un buon lavoro.

Il finale è aperto perché?

Lo è ma non lo è.

Il finale rimane una ferita aperta perché il romanzo finisce che scendo dal treno e incontro Silvia (la mia attuale compagna) e me ne innamoro. Così scrivo questo capitolo molto bello del libro, molto positivo.

Verso la fine del romanzo avevamo iniziato a risentirci io e Silvia, ed io stesso ero divento “più buono”.

Durante la correzione finale questo capitolo è stato tagliato perché troppo happy end, così l’ho rilegato e regalato a Silvia appunto.

Bel gesto!

Lei ovviamente non è altrettanto entusiasta perché era nel romanzo, però l’ho fatto per due ragioni: uno perché non era coerente con il libro (il finale più aperto era il più giusto) e due perché era troppo edulcorato e risuonava falso in quel momento..

Il romanzo si asciuga li dove diventa più vero e Nicola ritocca suolo da dove aveva provato a fuggire: tornare vuol dire voler riaffrontare qualcosa in modo da non dover scappare ancora.

 

Stai pensando di scrivere ancora?

Io ce l’ho già in mente il romanzo.

Qualcosa sul voler essere grandi fisicamente, sul nascondersi in uno scafandro fisico. Avevo scritto 80/90 pagine di un possibile libro.

Un giorno stavo tornando dal mare e pensavo… Arrivato a casa ho aggiunto alla mia idea di partenza quella di un altro romanzo, che si è andato mescolare con il precedente, una storia flashback: quello che accade nel presente/futuro viene giustificato dalla storia precedente. È la parte del flashback è quella di un body builder appunto, che però non riesce ad “ entrare” in un palestra… con un epilogo piuttosto complesso.

Ho una scrittura in mente che è comunque una scusa per scavare a ritroso nella personalità dei protagonisti.

Si, in ultima analisi direi che mi piacerebbe scrivere ancora, ma non lo faccio per diverse ragioni.

Una la rabbia di vedere che questi romanzi piacciono a chi li legge, con riscontri anche importanti, (più il secondo che Seishi in realtà). Paradossalmente questo entusiasmo mi deprime, perché so che ad oggi l’editoria non ti permette di essere letto o valutato realmente.

Il secondo motivo è che, come prevedeva il romanzo, ho iniziato a fotografare e quindi la mia parte espressiva se l’è consumata la fotografia.

L’augurio migliore che ti puoi fare è…?

Che qualcuno legga i miei libri e che questi ultimi trovino una strada perché è un po’ come avere dei figli bellissimi e sapere che non cresceranno mai.

Da una parte è straordinario perché avere un figlio (e tu lo sai meglio di me) è un esperienza unica; vederli piccoli nel momento più innocente e splendido che c’è… tutti ti fanno i complimenti, però è terribile sapere che non troveranno mai la loro strada.

E noi ti auguriamo che una strada la trovino. Grazie Federico.

“…a volte invece il tempo si ferma, come sospeso, in apparente equilibrio fra l’essere pago e il non voler essere reso.” – Seishi, Federico Aniballi.

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