Seba Pezzani : vi racconto la bellezza del profondo Sud, la culla del Blues

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Il viaggio è un tema caro a Seba Pezzani, giornalista, traduttore e musicista fidentino, che in molti dei suoi libri associa città, esperienze e pensieri.

Gli Stati Uniti sono la sua passione e nel suo ultimo lavoro “PROFONDO SUD -Un viaggio nella cultura del Dixie” (Giulio Perrone Editore) diventano protagonisti di un pezzo di cultura dell’umanità.

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Un percorso che narra la terra tramite il pensiero, che parla di gente attraverso la musica, che visita i luoghi con la letteratura.

Un itinerario affascinante e complesso che racconta l’oggi attraverso le radici, mediato dallo sguardo analitico, sensibile a artistico dell’autore.

Questo libro è un viaggio geografico, musicale, filosofico e letterario. Come l’hai progettato?

Seba Pezzani - Profondo SudPoco più di un anno fa, mi sono visto recapitare un messaggio di posta elettronica da Giulio Perrone (autore Rizzoli, nonché editore indipendente con la sua casa “Giulio Perrone Editore”).

Giulio mi chiedeva se avevo voglia di scrivere un libro su una città americana e uno scrittore importante che vi fosse nato e vissuto, un libro da inserire nella collana ben avviata che porta il titolo di “Passaggi di Dogana”, una collana molto intelligente che coniuga luoghi geografici e personalità e storie letterarie.

Come fosse giunto a me mi è ignoto, anche se è possibile che la recensione che avevo fatto di uno dei primi capitoli della collana (dedicato a San Francisco, Lawrence Ferlinghetti e i poeti beat) sulle pagine de l’Unità avesse lasciato traccia.

Fatto sta che io ho fatto una controproposta: proprio non avevo voglia di scrivere di un luogo e di uno scrittore (nella collana ci sono libri su Lisbona e Pessoa, Barcellona e Vasquez Montalban, Milano e Gadda, Napoli e Maurizio de Giovanni ecc) e così ho proposto di tracciare un percorso ideale nel Sud degli Stati Uniti con annessi e connessi.

Un percorso lungo le regioni del Sud degli Stati Uniti. Che differenze ci sono con il Nord?

Gli USA sono una realtà molto variegata e, allo stesso tempo, il volto autentico del paese lo ritrovi un po’ ovunque.

Parliamo di una nazione sterminata, ricca di etnie e culture diverse. Il Sud ha una marcia in più, un afflato storico che ritrovi un po’ ovunque nella sua cultura letteraria e musicale e che ha una dignità che trascende le miserie della sua storia, una storia fatta soprattutto (ma non solo) di sopraffazione, violenze razziali, razzismo.

Ma è proprio al Sud che si sono avute le prime palestre di coabitazione civile, condivisione, convivenza tra bianchi e neri, spesso dopo lotte sanguinose.

Città grandi, località minuscole e un fiume immenso che ha ispirato musica e scrittura, il Missisippi…

Il Mississippi è il grande fiume, l’Old Man River. E’ una figura letteraria quanto reale.

Alle sue rive si sono abbeverati molti dei grandi narratori americani, a partire da quel Mark Twain che, pur non essendo tecnicamente un sudista a tutto tondo (dato che il Missouri secondo alcuni appartiene al Midwest), ne ha fatto il suo centro poetico.

Il romanzo autobiografico “Vita sul Mississippi” (uno di quei rari libri che sono fiero di aver tradotto) è bellissimo, un affresco narrativo ricco e variegato, una raccolta di panzane che, se non fossero nate e cresciute sulle rive di questo fiume, risulterebbero incredibili e che, filtrate dalla penna del ballista per eccellenza, Mark Twain, assumono una vita propria.

E poi Mississippi è anche il nome dello stato più povero degli USA, la culla del blues, la madre di tutta la musica moderna.

Tra i diversi personaggi noti di cui scrivi c’è lo scrittore Ronald Everett Capps. Che idea ti sei fatto di lui, come uomo e come artista?

Ronnie, come lo chiamano gli amici, è un uomo d’altri tempi, una sorta di Bukowski buono ma dedito alla bottiglia tanto quanto il poeta maledetto.

Ronnie è generoso, naif, geniale, ingestibile, teatrale, emotivo, autentico. Ed è un favoloso narratore, con una chiave stilistica che si muove costantemente tra l’umorismo a la Mark Twain, l’irriverenza di Bukowski, la leggerezza di Harper Lee e la creatività istrionica di Flannery O’Connor.

L’uomo, per quanto tribolato, è favoloso. Peccato solo che le sue condizioni di salute si stiano deteriorando rapidamente, perché è un uomo di grandi valori.

Sei un profondo conoscitore e appassionato di cultura americana. Cosa apprezzi di più della musica e della letteratura di questo grande paese?

Mi piace quel profumo unico che tutta la cultura a stelle e strisce emana. C’è dentro la storia recente di un popolo.

Perché, malgrado le differenze profonde, di popolo si tratta. La cultura mondiale, figlia positivamente degenere del modello capitalistico, ha esercitato e in qualche modo esercita tuttora un magnetismo irresistibile nei confronti dei paesi più disparati del pianeta, da quelli più ricchi a quelli più miseri. Un motivo ci sarà.

Io lo individuo nella sintesi magica delle sue componenti, che hanno cercato di mantenere su quella sponda dell’Atlantico e del Pacifico (perché non dimentichiamoci che ci sono anche cinesi, giapponesi e hawaiani nell’universo americano) il proprio background linguistico e culturale, finendo per andarlo a innestare su un substrato nuovo, all’interno di un humus straordinariamente fecondo.

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