Shades of Women: la fotografia femminile a teatro

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Si è conclusa ieri sera al Teatro Due diRoma la prima di cinque serate dedicate allo sguardo femminile in fotografia, un’iniziativa curata da Ilaria Prili dall’esplicativo titolo Shades of Women.

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Giunta alla sua seconda edizione, la manifestazione culturale mira a diffondere l’arte fotografica di grandissime donne  che in questo campo hanno ottenuto importanti riconoscimenti a livello internazionale.

La serata di ieri si è svolta con una proiezione toccante di sei progetti fotografici realizzati da 7 donne, accomunate dalla necessità di gridare al mondo che non va tutto bene, che c’è bisogno di ricostruire dal nulla identità di interi popoli, che la fotografia può realmente essere veicolo di conoscenza e motore concreto per operare un profondo cambiamento nell’uomo.

Benedicte Kurzen, una fotografa francese di 32 anni, ha presentato ‘Nigeria: a Nation lost to the Gods’, puntando l’obiettivo sulle conseguenze che le elezioni presidenziali del 2011 hanno innescato nel paese, la cui situazione era già aggravata da un lacerante  conflitto religioso.

Rena Effendi, vincitrice di numerosi premi come il Getty Images Editorial Grant, si concentra sui devastanti effetti della lunga guerra consumatasi in Georgia. Tra le immagini più toccanti, il ritratto di una bellissima bambina che nonostante mostri uno sguardo spaventato per tutte le atrocità subite, sentite, viste o toccate, riesce a mantenere quella grazia che solo una undicenne ancora possiede.

L’americana Nadia Shira Cohen, invece, ci trasporta in un incredibile viaggio nella ‘Primavera Araba’ e racconta le diverse tappe che nel 2011 hanno portato la Tunisia, la Libia e l’Egitto alla rivoluzione contro le ingiustizie subite ormai da troppo tempo. La fotografa vincitrice del Fotoleggendo 2008, ricorda come tutto ebbe inizio nel dicembre 2010 quando un giovane venditore si diede fuoco davanti all’ufficio del governatore dopo essere stato umiliato pubblicamente da poliziotti corrotti.

Un altrettanto interessantissimo reportage è presentato dalla danese Sofie Amalie Klougart, che propone ‘Going to War’: in una serie di scatti di forte impatto visivo, la fotografa immortala un gruppo di giovani appena 21enni pronti a partire per la guerra in Afghanistan, dopo aver scritto il loro testamento. Emerge la convinzione che troppo spesso le giovani generazioni, cieche e soggiogate, siano state sfruttate da leader politici carismatici e gettate nel vortice della violenza.

Un progetto di tutto rispetto è quello firmato dalla nostra Simona Ghizzoni, fotografa emiliana che si è aggiudicata il terzo premio nella categoria Ritratti al World Press Photo del 2008. La Ghizzoni, insieme alla giornalista Emanuela Zuccalà – attualmente impegnate nella raccolta fondi per il documentario su www.emphas.is –  hanno mostrato alla sala gremita del teatro ‘Just to let you know that i’m alive’. Scatti che parlano da soli, arrivano dritti al cuore, che non hanno bisogno di altro se non di sedimentarsi in modo permanente nella nostra mente e che hanno il coraggio di raccontare senza alcuna censura le numerose sparizioni, torture, fosse comuni, ingiustizie quotidiane e morti sospette che dal ’75 a oggi si perpetrano tra il Sahara Occidentale e l’Algeria. Basti pensare che l’assoluta negazione dei diritti civili nei confronti del popolo saharawi ha portato ad oltre 4500 vittime.

E’ poi la volta delle olandesi Ilvy Njiokiktjien e Elles Van Gelder che in ‘Afrikaner Blood’ testimoniano come i giovani Afrikaners (ovvero adolescenti africani di origini tedesche e belghe) rifiutino la visione di Nelson Mandela e il riconoscimento del Sudafrica come un paese arcobaleno, mossi da insegnamenti razzisti e nazisti da parte dei Kommandokorps. Gli esponenti di estrema destra inculcano loro idee di superiorità etnica, odio verso quelli che fino a poco tempo prima avevano considerato fratelli e li incitano alla violenza. Il pericolo di un’identità incerta e traballante tesa tra due diverse culture è una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere all’improvviso.

Infine in ‘Forsaken’ la canadese Lana Slezic, da sempre portata ad un approccio emozionale verso i soggetti delle sue foto, ci porta in Afghanista per raccontarci storie incredibili di donne altrettanto incredibili, che hanno lottato contro la supremazia maschilista, per affermare la loro integrità, la loro intelligenza, la loro presenza come esseri morali. Un esempio che non può essere dimenticato, ci è stato lasciato da Malalai Kakar, la prima donna poliziotto a Kandahar, dopo la dipartita dei Talebani nel 2001. La donna, con il burka in testa e la pistola alla mano, è stata presa di mira per anni dai Taliban, che sono poi riusciti a toglierla di mezzo sparandole in testa, davanti alla sua casa.

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