SURREALISMO E DANZA di Francesca Camponero

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“La follia di una persona è spesso e volentieri la realtà di un’altra” (Tim Burton)

In questa ricerca letteraria Francesca Camponero traccia il panorama di queste due forme d’arte (o meglio dire “slanci”) che hanno segnato un terreno fertile per numerosi coreografi: il surrealismo applicato alla danza. “La nostra epoca non è altro che puro movimento!” scriveva Maurice Sachs definendo il piacere di vivere dopo la fine della Prima Guerra Mondiale.

La ritrovata libertà fu un veicolo per disinnescare repressioni, delusioni, vincoli morali, ad appannaggio di una fervida creatività che rese tangibile ciò che prima era vissuto solamente come privazione e desiderio irraggiungibile. Il surrealismo portò un profondo cambiamento, vissuto in un ambiente artistico effervescente dando così vita ad innumerevoli esperienze compositive.

Ciò fu un punto di partenza anche per la danza, testimone del nuovo pensiero ma soprattutto osservatore della propria forma d’arte. A tagliare il nastro di partenza troviamo sicuramente il balletto “Parade” del 1917 con musica di Erik Satie su soggetto di Jean Cocteau e coreografia di Léonide Massine per la compagnia dei “Balletti russi” di Sergej Djagilev, e nondimeno sipario, scene e costumi firmati da Pablo Picasso.

Benché il sottotitolo dell’opera sia “Balletto realista”, in realtà “Parade” è a tutti gli effetti uno tra gli artefici del surrealismo nella danza. La conferma è riscontrabile nel programma di sala redatto dal poeta e scrittore Guillaume Apollinaire (letterato francese ma italiano di nascita) che cita esattamente questo sostantivo.

L’ambiente – a quel tempo – che si era venuto a creare era favorevole ad un lavoro poliedrico e innovativo sotto il punto di vista musicale, scenografico, coreografico e narrativo. Con questo spettacolo il poeta e saggista Cocteau si propose di mostrare la realtà della “Modernità” (che sorse sulla scia del Rinascimento) utilizzando personaggi di indole arlecchinesca, buffonesca, farsesca e pagliaccesca poteva mettere in scena la metafora della nuova arte, criticata da coloro che non la capivano semplicemente perché abituati ad un impatto con ciò che che si vedeva, senza scavare nell’interiorità, limitandosi all’apparenza e alla superficie.

Questo Cocteau lo fece ben appunto con spirito clownesco per sottolineare che ciò “è l’unico che autorizza una certa audacia”. Coloro che consideravano il suo balletto una ridicola parodia del moderno vennero così doppiamente derisi dalla “modernité”.

Tornando al programma di sala, Guillaume Apollinaire, coniò per la prima volta il termine surrealista applicato alla danza per creare una nuova consapevolezza ma soprattutto una nuova consociazione.

Fino ad allora le scenografie e i costumi, come la coreografia stessa, non possedevano  altro che un collegamento artificiale tra loro. Lui mise al centro la coesione totale di queste arti ponendole in egual misura al progresso scientifico e industriale.

Alcuni autori sostengono che la prima apparizione del termine surrealista si trovasse nella commedia di Apollinaire “Les Mamelles de Tirèsias” su musica di di Francis Poulenc, il cui sottotitolo era “Un dramma surrealista”, utilizzato dall’autore nel giugno 1917, cioè un mese dopo la prima di “Parade”.

Nella coreografia di Massine i personaggi ballano musiche popolari, fanno il verso a quelle dei film di Charlot, si vestono e mimano scene del circo. Più che danzatori sembravano marionette capaci di spezzare i modelli corporei della tradizione occidentale costruiti nel corso dei secoli.

In mezzo a tutto ciò, in ordine sparso, si ritrovano i movimenti artistici che hanno preceduto o posticipato il pensiero: cubismo (e neocubismo), dadaismo, purismo, astrattismo, futurismo, da cui il fermento dispiegò i propri doni assistendo ad un’esplosione creativa di un’intensità paragonabile a quella dell’impressionismo.

Ho preso ad esempio “Parade” per dare un assaggio di ciò che Francesca Camponero ha esposto pagina dopo pagina nel nome della “libertà creativa”.

L’autrice nel presente libro (112 pagine, GEDI gruppo editoriale) parla del passato e del presente, traghettando in un esaustivo excursus da Salvador Dalí a Joan Miró, dallo Schiaccianoci a Magritte, da Luis Buñuel a Tim Burton, da Pina Bausch a Pippo Delbono, da James Thierrée a Familie Flöz, da Peeping Tom a Baro d’evel, e molto altro “a passo di danza”.

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