La musica dell’anima al Todi Festival, intervista a Pamela Villoresi

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La musica dell’anima, ritratto di Eleonora Duse tra le note della sua epoca con Pamela Villoresi regia di Maria Letizia Compatangelo, al piano Marco Scolastra inserito nel cartellone della trentunesima edizione del TODI FESTIVAL andrà in scena venerdì 1 settembre ore 21.00 Teatro Comunale di Todi.

Partiamo dallo spettacolo che è in scena al Todi Festival, La musica dell’anima, ritratto di Eleonora Duse tra le note della sua epoca: come mai la Duse non era entrata prima nel suo vasto repertorio di “donne” in teatro? Che cosa l’ha avvicinata ora a questa attrice, a questa donna?

L’incontro è stato molto casuale. In verità, mi ha scelta lei. Perché Maria Letizia Compatangelo aveva scritto per Radiovaticana una intervista impossibile su Eleonora Duse. Io ne avevo già interpretata un’altra e mi hanno richiamato anche in questa occasione. Per me è stata una sorpresa, una bella sorpresa. Ho scoperto molto meglio un’attrice famosa e una grande apripista, non solo sulla idea di recitazione moderna, ma anche per la sua cultura, per la libertà e soprattutto per la figura della donna nella società.

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È stata una donna libera e indipendente che ha pagato per le sue scelte. Precedentemente avevo visitato la sua tomba, senza conoscerla così bene, e avevo provato uno strano senso di gratitudine. Ora capisco che quel sentimento nasceva dalla ammirazione per la sua vita e per le sue scelte artistiche.

Una delle ultime cose che disse alle colleghe prima di morire fu

l’unico antidoto è andare avanti, andare avanti, andare avanti. Il teatro è stato la mia vita.

e io lo condivido pienamente.

Aveva già allora l’idea dell’approfondimento psicologico del personaggio, che è la chiave della recitazione del 900, o quantomeno di una parte di essa. Lei affermava: “Il pubblico prima o poi vorrà la verità” e di fatto aveva ragione!

Quando Marco Scolastra, con cui avevamo già collaborato, mi ha invitato a realizzare uno spettacolo insieme, io ho subito pensato a questa idea. Abbiamo affrontato in team il progetto su Eleonora Duse che è stato un lavoro a sei mani, con testo di Maria Letizia, i suggerimenti musicali di Marco e io che facevo da unione fra i due.

Lei ha iniziato la sua carriera artistica molto presto ed è stata subito consacrata fra i grandi del teatro e del cinema italiano, cosa è stato di quel mondo? Esiste ancora l’impegno e la profonda cultura che permeava i suoi protagonisti o sempre più spesso ci si ritira in isole felici, pur di non perdere la propria identità?

Vado molto a teatro, spesso vedo delle belle cose, spettacoli ben fatti, ben recitati, ben diretti e via dicendo. Mi manca un po’ la grande scuola, anche come interprete, che forse oggi non è più così presente nei cartelloni. Per questo, di solito, preferisco i grandi salti, le novità con i giovani che hanno linguaggi diversi dai miei, perché in quel caso dismetto il mestiere e abbraccio il futuro che non è mio.

Per i linguaggi classici, oggi è più difficile. Però si trovano altre cose, per esempio in occasione di uno spettacolo che ho interpretato, “Memorie di una schiava”, in cui la protagonista è una giovane africana. Io ho espresso qualche titubanza al regista, ma lui poi ha trovato delle soluzioni originali e siamo riusciti a mediare fra la mia interpretazione e la sua idea nuova. Mi ha ricoperta di creta dalla testa ai piedi.

La protagonista, così, si fa riassorbire da un Baobab, come una corteccia: era un linguaggio molto corporeo. In questi casi mi piacciono le novità, sono aperta alla zona di ricerca e di grande essenzialità. D’accordo, non tutto è superbo, però anche nel cinema c’è molto di buono, soprattutto negli ultimi anni: Sorrentino, Giuseppe Gagliardi con “Non uccidere” e “1993” che ci portano fuori dai drammi piccolo borghesi. Anche “Orecchie” di Alessandro Aronadio sta avendo un ottimo risultato ed è un’opera molto interessante. Finalmente i registi tornano su un piano visionario e abbandonano un certo clima borghese.

Pamela Villoresi
Quale ruolo pensa le calzi di più, la Pamela Villoresi attrice, regista o manager?

Senz’altro recitare. La regia mi piace molto, perché amo lavorare sui colleghi che a volte vedo inibiti dalle figure registiche. Però non si possono vincere cento battaglie in una vita. Ho vinto tante battaglie. La regia è questione più complicata.

Credo in un teatro di gruppo, di compagnia! Cerco di aiutare i colleghi in scena, soprattutto i più giovani, perché i protagonismi vanno bene ma ci deve essere un insieme che funziona. Bisogna essere felici in tournée perché si sta insieme tanto tempo e occorre essere in armonia. Si deve essere tutti contenti per andare in scena, dagli attori ai tecnici, è fondamentale per una buona riuscita dello spettacolo.

Quale è stato, se ce n’è stato uno in particolare, l’incontro con un collega che le ha cambiato il punto di vista sul suo lavoro attoriale?

Strehler sicuramente, ma debbo tanto anche a Nino Manfredi che mi ha insegnato tutto sulla comicità. Ma anche quelle attrici che non conosco direttamente come Meryl Streep. È un genio. Anche attrici della mia generazione come Elisabetta Pozzi. Ammiro molto i colleghi che fanno bene il proprio mestiere.

C’è un personaggio che ha amato più di altri?

Gli spettacoli con Giorgio li rimpiango tutti, perché era come affrescare la Cappella Sistina: erano dei capolavori. Ma ci sono personaggi che amo, come Didone, perché è come le donne di oggi: forte, resistente, eroica e poi molto fragile in amore. Era una donna che aveva letteralmente costruito mezza Cartagine pere poi cedere sotto il peso di un amore impossibile.

Come si inserisce la musica nei lavori che ha interpretato?

Intanto io adoro il verso e preferisco recitare in versi, tant’è vero che ho molti recital di poesia in repertorio. Allora la musica non è un semplice accompagnamento, ma è un altro linguaggio. I brani devono essere scelti e ponderati insieme per arrivare a un risultato complessivo ben equilibrato.

Talmente tanto la musica è entrata nella mia vita artistica che hanno iniziato a chiamarmi anche le orchestre per i progetti musicali. Amo questo tipo di lavori, così come mi piace l’insieme delle arti. Ho lavorato con Arnaldo Pomodoro in ben cinque spettacoli. Credo che le arti debbano essere in comunione e in equilibrio.

Sono arrivata a collaborare anche direttamente con i musicisti per alcuni progetti, come questo su Eleonora con cui abbiamo condiviso molto con Marco. In uno spettacolo, ad esempio, su testi di Shakespeare abbiamo realizzato un percorso di monologhi e brani dell’epoca con strumenti originali. Un altro filone è stato sulla spiritualità d’oriente, partendo dalle zone più vicine a noi, con testi di teologi e poeti del ‘300 e musiche dall’Andalusia all’India. La musica è una grande presenza nella mia vita.

Da dove nasce questa sua propensione alla poesia?

Sempre da Strehler. Il Campiello, per esempio, è in versi. Streheler prima ci faceva dimenticare i versi e poi ci faceva scivolare su di essi. Come D’Annunzio, dove il verso ti accompagna in una danza. E poi i versi sono un trait d’union fra parola e musica, affondano nel magma umano dell’anima e il bello è riuscire a rendere questa complessità al meglio. Spesso fra i lavori che ho commissionato, ho espressamente chiesto che fossero in versi, come lo era, per esempio, l’Ora di Otranto.

Ha dei progetti che vorrebbe realizzare, ma che sono ancora in cantiere?

Non è in cantiere, ma mi piacerebbe molto interpretare la Cleopatra di Shakespeare. Attualmente mi sono riavvicinata al cinema e alla televisione, che per un lungo periodo avevo accantonato. Sto girando “Don Matteo” – sono un nuovo personaggio – e mi diverte molto. Io devo a Sorrentino la gioia e il piacere di tornare a recitare sul set. Spero di fare più cinema, che avevo spesso messo da parte per il teatro, per le tournée, invece grazie alla “Grande Bellezza” si stanno aprendo molte opportunità in questo campo e ne sono davvero felice.

Cosa pensa della considerazione delle donne nell’industria culturale in Italia?

Io credo che non ci si possa lamentare: in molti paesi mediorientali è peggio, lì non possono neppure esibirsi. Noi possiamo farlo e abbiamo tante libertà. È vero che il percorso della parità non è completo: c’è una sola direttrice di un teatro stabile in Italia, mentre le cariche di direzione artistica sono sempre affidate a uomini.

È una questione politica o economica, ma questo non importa, ci dimostra solo che siamo a metà strada. Questo percorso di libertà si completerà, anche se non è veloce. Essere solidali fra noi è importante: noi lo dobbiamo essere con chi è meno libero e speriamo che accada lo stesso per noi. Non è scontato!

L’appuntamento è dunque al Festival di Todi il 1 settembre con Pamela Villoresi e la sua Eleonora Duse in La musica dell’anima. Ci sarà anche una piccola sorpresa: Laura Bosetti ha pronto un profumo dedicato alla Divina Duse. Pamela Villoresi ci racconta che Laura si è incurosita perché spesso nelle foto della Duse c’erano le violette.

La Divina amava molto quel fiore che cuciva nei vestiti, spesso accompagnate con un po’ di ambra. Le amava tanto, nonostante il colore viola sia bandito in teatro! Così il pubblico si inebrierà della musica, della figura di Eleonore e degli stessi profumi dei tempi della Duse!

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