E’ andata in scena al teatro La Contrada di Trieste l’one shot, ovvero la replica unica fuori abbonamento, de “Il maestro e Cicogno”, una piéce tratta dall’omonimo testo del Professore Renzo Stefano Crivelli, esperto e fine conoscitore delle opere e della vita di James Joyce.

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La regia è affidata a Maurizio Zacchigna, che interpreta anche Cicogno.

Cicogno e il suo dolore

Cicogno, personaggio triestino titolare di un’osteria e vedovo da un paio d’anni cerca di sbarcare il lunario con il suo locale.

Nel cuore e nei pensieri ha però sempre la moglie Irene, defunta qualche anno prima tra le sue braccia e di cui non smette di tessere le lodi, e la figlia Lina, fuggita appena tredicenne poco dopo la morte della madre con un marinaio verso l’Irlanda.

Tra i due si era creato un muro oltre il quale né il padre né la figlia sono riusciti ad andare per ritrovare

quelle anime separate alla ricerca di uno stesso abbraccio

Un abbraccio che avrebbe lenito il dolore della perdita e li avrebbe tenuti uniti.

Nell’osteria di Cicogno affluisce la variegata umanità triestina e, nell’immaginario di Crivelli, si rifugia giornalmente anche il Maestro di inglese James Joyce, interpretato da Francesco Godina.

In questo testo Crivelli fa diventare Joyce il cliente di un’osteria, mette in scena un momento della vita dello scrittore dove noi ce lo immaginiamo, grazie anche alle numerose biografie pervenute, a Trieste tra osterie e bordelli, luoghi che attiravano lo scrittore anche per questa sua indole rapace, questa sua fame di racconti, che si nutre e gode delle storie che qui vi si trovano

-note di regia di Maurizio Zacchigna-

Il Maestro, James Joyce

Francesco Godina veste le parti del Maestro di inglese identificabile con Joyce, lo scrittore che per alcuni anni ha vissuto a Trieste e ha insegnato presso la Berlitz School.

Cicogno vede anche il Maestro Joyce come tramite sulla sorte della figlia mai più tornata e dalla quale ha ricevuto via lettera sporadiche notizie.

Il Maestro aiuta Cicogno nella lettura e risposta ad esse.

In più si fa lui stesso messaggero alla ricerca di notizie tramite una zia, suora nel paese dove la ragazza sarebbe andata a vivere secondo il padre (o meglio secondo ciò che la giovane aveva raccontato di sé nelle prime missive).

Tra citazioni delle opere, dai “Dubliners” al “Ritratto di un giovane artista”, si evidenziano molte somiglianze tra la città di origine del Maestro e Trieste e passando per la sottolineatura di aspetti cardine della sua poetica si arriva alla resa dei conti su ciò che più sta a cuore a Cicogno, la figlia Lina.

Ma, in un luogo dove vita e morte si siedono allo stesso tavolo e in una città dove morti e vivono fianco a fianco, il Maestro saprà raccontare tutta la verità a Cicogno?

la scelta stilistica della messa in scena è una mise en espace, tra il teatro a leggio e il teatro, non è una situazione realistica e tra i personaggi c’è anche la figlia dell’oste, presente in una forma evocativa, come un ricordo, un fantasma.

-note di regia di Maurizio Zacchigna

Lina, presenza evocata

La figlia di Cicogno, Lina, è infatti evocata più volte e ha il volto di Enza De Rose.

Il pubblico viene messo subito a conoscenza del destino toccato alla ragazza e fino alla fine si chiede se sia giusto che anche Cicogno ne venga a conoscenza.

La presenza di Lina, imponente nella sua fragilità ma per lo più silenziosa e drammatica, rompe la quarta parete interagendo col pubblico “accarezzando con lo sguardo” le donne nelle quali cerca forse il riflesso della madre, di quella confidente e amica venuta a mancare troppo presto e sfidando con disprezzo gli uomini.

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