Tre chiaccherate in uno stesso contesto che, se la situazione non fosse quella che è,  probabilmente non saresti riuscita a seguire per impegni concomitanti.

Tre incontri/interviste recuperabili, e potenzialmente studiabili da chi si avvicina al mestiere, sui social.

Tre professionisti diversi a raccontare il cinema con sguardi diversi e complementari, che vale la pena commentare e condividere.

Elio Germano, tra Ligabue Favolacce e VR

Attore, quarantenne, con esperienza già rodata, fresco (pre-chiusura) di vittoria a Berlino con il film Volevo nascondermi sulla figura del pittore Ligabue e allo stesso tempo protagonista di Favolacce, opera dei fratelli D’Innocenzo.

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Pellicole diverse, molto legate al paesaggio ma soprattutto all’umanità.

Un’umanità complessa che mette le proprie fragilità e debolezze a servizio del proprio mestiere.

Interpretazioni, quelle di Germano che sono storie di fragilità,  che se negate diventano catastrofi ma che, se permesse, diventano opere d’arte.

Grazie alle scelte operate finora, Germano può lasciarsi guidare dalla voglia di prendersi dei momenti per fare altro, quasi compiendo scelte egoistiche di lavori in cui emerga l’urgenza di raccontare e raccontarsi, qualsiasi personaggio e storia sia.

Questa cernita gli ha permesso negli anni di dedicarsi a opere con una miriade di professionisti diversi alla regia.

Un lavoro con registi diversi (Luchetti, Virzì, Patierno, Sollima, Pietro Marcello, Vanzina, D’Amelio), diversi modi di porsi nei confronti della cinematografia e che fanno emergere una notevole duttilità e curiosità di Germano.

Curiosità che attualmente, tra le altre cose, lo vede cimentarsi  e raccontare un altro approccio al cinema: quello della realtà virtuale.

Come in Segnali d’allarme, trasposizione in VR per la regia di Omar Rashid, di uno spettacolo teatrale.

Esperienza che, in una tournee sviluppabile anche ottemperando ai protocolli di sicurezza, vedrà alcune repliche in Friuli Venezia Giulia.

La prima avrà luogo al Teatro Miela di Trieste in collaborazione tra Shorts e Mittelfest.

Ogni attore ha il suo modo di affrontare un’interpretazione, in questo caso rubare con gli occhi è la risposta della parte emotiva a colmare una mancanza di tecnica data dagli studi di cinematografia non completati Giulio pranno

La nuova prospettiva di Giulio Pranno

Il ventiduenne Giulio Pranno, potrebbe risultare semi sconosciuto ai più.

Non fosse che Salvatores, sì Gabriele Salvatores, lo ha scelto come protagonista per la sua opera più recente, Tutto il mio folle amore , che lo ha visto al fianco di colleghi  come Valeria Golino, Claudio Santamaria e Diego Abatantuono.

Un professionista che, caso o colpi di fortuna che siano, guadagna terreno in un mondo non semplice.

Con piccoli ma grandi principi del mestiere: fare dell’autocritica un punto di forza, rubare con gli occhi caratteristiche e dettagli per fare al meglio il proprio lavoro.

Uno sguardo fresco ma già deciso su cosa voler fare della propria vita.

Nel presente Premio Prospettiva 2020 di ShorTs e vincitore del Premio Biraghi per i giovani talenti; davanti a sé tanti titoli che stanno arrivando e un sincero auspicio di fortuna e successi.

“Mi auguro di avere sempre la forza di ricominciare, andando dietro alle mie necessità, facendo parlare una voce che non controllo”
Saverio Costanzo

Il “cinema del presente” di Saverio Costanzo

Sociologo della comunicazione, una passione per l’etnografia, “Regista di attori più che di immagine”, Premio Cinema del presente allo ShorTs International Film Festival di Trieste.

Una radice sociologica-documentale insita in sé così tanto da immaginarsi in un futuro come etnografo impegnato quindi a guardare alla realtà con alla mano un taccuino  invece che una cinepresa.

Un percorso di studi che lo porta in America dove gira una prima docusoap sul Milleluci di Brooklyn.

Un film girato in Palestina dopo quel primo documentario, entrambi nati quasi per caso, e un presente come regista di film e serie tv che sono successi del panorama cinematografico e televisivo nazionale e non solo.

Un rapporto con gli attori che ha radici nella curiosità, nell’osservazione e nella rappresentazione autentica dell’altro

Al contempo la capacità, che sembra  proprio alla base del suo successo, di voler raccontare attraverso le parole degli altri, quasi a schermarsi.

Un lavoro, quello di Costanzo, di osservazione partecipante che prende così tanto tempo e rigore da essere stata nel corso dei primi anni una grande palestra per imparare a dirigere silenziosamente e lasciare quasi che gli attori si autodirigessero.

“E’ come se credessi più nelle storie di qualcun altro, questo mi permette di ‘nascondermi’ e sentirmi a mio agio.
Mettere in scena una storia che hai letto in un romanzo dall’inizio alla fine ti permette di giudicarla oggettivamente, dando allo spettatore ciò che lui stesso ha vissuto da lettore. Con la fortuna ulteriore di aver incontrato finora storie che mi somigliassero.

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