Un cappello che sa di naftalina

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Ha senso parlare ancora di aborto e divorzio in Italia quando questi argomenti sono stati sdoganati quasi mezzo secolo fa ? Questa è la domanda che ci siamo posti assistendo a Ti ho sposato per allegria alla Sala Umberto di Roma.

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Il testo,  tra l’altro uno dei  meno brillanti della Ginzburg, appare stantio e privo di brio, che sa un po’ di naftalina come il cappello che il protagonista cerca all’inizio dello spettacolo ed il lungo monologo iniziale della protagonista  non agevola di certo la predisposizione all’ascolto successivo.

E’ la storia di Pietro (un ineccepibile Emanuele Salce), avvocato della borghesia romana, incastrato in tutti i prevedibili schemi derivanti dalla sua estrazione sociale, che decide di sposarsi con una ragazza, Giuliana (Chiara Francini), sognatrice spiantata e vagamente hippy, incontrata pochi giorni prima ad una festa.

Dura la reprimenda della madre di Pietro (un’ottima Anita Bartolucci che accende  il palco con la sua verve) ma non mancherà il lieto fine.

Completano il cast la cameriera vagamente surreale (una perfetta Giulia Weber) e la sorella di Pietro interpretata da  Valentina Virando.

 

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