Una cena armena

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Lo spettacolo “Una cena armena” è in scena al Teatro Tieffe di Milano dal 21 al 23 marzo. La regia è di Danilo Nigrelli. Si tratta di un testo scritto da Paola Ponti, attinto da “La cucina di Armenia” di Sonya Orfalian, interpretato da Danilo Nigrelli e Rosa Diletta Rossi.

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Una tempesta di neve costringe nella stessa casa Aram, uomo armeno, e Nina, ragazza italiana. Aram sta per trasferirsi a Yerevan, Nina lo interroga sullo sterminio degli armeni. I due danno vita ad un confronto che assume i tratti della tragedia e della commedia. Leggerezza e commozione si fondono.

L’azione si svolge nella casa di Aram, i due dopo una prima distanza iniziano a parlarsi e raccontarsi le proprie storie, le proprie interrogazioni, intorno al focolare, l’ojàkh, dove viene preparata una cena tradizionale armena. Le domande sul genocidio armeno poste dalla ragazza spesso diventano echi senza risposta, concluse da un cambio scena a scena aperta, in cui la luce cala e i due protagonisti accompagnati da musica di pianoforte si spostano sul palco in una sorta di rituale, che sembra diventare una preghiera in onore della tragedia. Ricordiamo che l’evento storico richiamato dallo spettacolo, il genocidio armeno, è stato il primo genocidio del XX secolo nel significato fatto proprio dalla “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio”approvata dall’Assemblea dell’ONU il 9 dicembre del 1948: eliminazione fisica di un popolo e della sua cultura. Tuttavia ha assunto storicamente riconoscimenti controversi.

La scena si apre su un palco coperto di indumenti colorati, un tappeto scenico che richiama la scelta di appendere alcune corde colorate pendenti sul palco. La scenografia è fissa, al centro troviamo un tavolo tondo rosso e due sgabelli della stessa fattura. Una scena esteticamente interessante, molto materica, che sembra ispirarsi ad alcune opere d’arte contemporanea.

Capiamo immediatamente che la scelta registica non si muove verso il realismo, ma verso un ibrido tra realtà ed evocazione, un’idea intrigante. Alcuni oggetti esistono fisicamente, altri saranno solo mimati. Atti di mimo che ci portano altrove e spesso mancano di forza, come il fatto di simulare il cibo preparato e consumato dai due al tavolo, vero e proprio momento di unione, di comunione dei due, da cui il titolo, la mappa del Medio Oriente mimata dalla ragazza, ma sopratutto il portone di casa sepolto dalla neve che impedisce alla ragazza di uscire, il motivo del conflitto, il motivo del dialogo. Il portone rimane assente. La dimensione di gioco provocata dalla creazione di oggetti invisibili non è sempre efficace.

Si avverte lo sforzo verso l’autenticità, ma il risultato è che la recitazione appare molto introversa, non diventa quasi mai un dialogo effettivo con l’altro. I due personaggi si parlano, ma mantengono una recitazione quasi rivolta a loro stessi: non si avverte in modo forte il loro diventare”intimi” così come il testo li esorta a fare, nonostante la storia sia un progredire verso una più profonda vicinanza e confessione tra le due generazioni.

Nigrelli sembra mantenere alcune note di maschera fiction che faticano ad emozionare il pubblico dal vivo. Impossibile non ricondurre il personaggio di Nina alle molte figure cinematografiche di ragazza portatrice di leggerezza dentro lo schivo mondo adulto, in particolare per il richiamo al film “Basta che funzioni” di Woody Allen. Nel film una ragazza giovanissima piomba d’improvviso nella casa di un uomo adulto e cinico:la sua giovane, fresca e dirompente visione del mondo, rivelatrice di una saggezza intuitiva e non riflettuta, ribalta le difese e le convinzioni della maturità avanzata.

Il gioco della ragazza che irrompe con brio e immediatezza nel mondo adulto e nei ricordi di Aram, come punto di forza e motore dello spettacolo, non sembra trasparire in modo decisivo dall’interpretazione di Rosa Diletta Rossi: non coinvolge mai completamente così come lo spirito del personaggio, con le sue provocazioni, potrebbe suggerire.

Manca una reale tensione tra i due personaggi e quindi un più spiccato grado di intensità: senza questa non si capisce immediatamente quali siano i motivi che tengono i due in casa, che li spingono a continuare a dialogare. Forse questo accade a causa del testo che manca talvolta di incisività e per cui la complicità tra i due attori non riesce a realizzarsi pienamente.

Il testo è concreto, parla della realtà storica e biografica, di storie personali e collettive, di un omicidio di massa non privilegiato tra le memorie della storia: il tentativo di mostrarlo in una dimensione poetica, simbolica e del ricordo, incrociata a quella dell’azione, pur rimanendo un’idea affascinante, non sembra aver raggiunto un equilibrio in grado di dare forza a quest’interessante operazione.

 

 

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