Un giorno leggo su Facebook “E a Roma salta fuori un lago” proprio dietro Largo Preneste.

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La mia curiosità non mi da tregua. Immediatamente mi metto alla ricerca del posto e scopro così un mondo a me sconosciuto, una storia incredibile fatta di tante storie, ma che prima di tutto è la storia della città, è la nostra storia.

Tante piccole ed incredibili vicende che continuano nel tempo a plasmare questo crogiolo di umanità che è Roma, che ci stupisce con la sua spettacolarità da più di 3000 anni.

Relitti Urbani: Ex SNIA Viscosa “Lago per tutti cemento per nessuno"Dunque, come dicevo, finalmente trovo il posto e anche una storia incredibile; dietro un muro di rovi all’interno di un piccolo parco scorgo un lago e uno scheletro di cemento, qualcuno spuntato dal nulla mi parla di resti di un centro commerciale, ormai abbandonato, e di un lago venuto fuori da una falda acquifera.

All’inizio l’intera vicenda mi è sembrata così irreale da suscitare un sentimento di meraviglia e allo stesso tempo di sgomento, quasi di instabilità. Tale sentimento è stato talmente forte da volerlo riproporre raccontandovi l’avventura di quella giornata in modo surreale:

“E’ Domenica, mi reco al nuovo centro commerciale, nei pressi di largo Preneste, è un posto alquanto insolito, di nome Ex Snia Viscosa, con un ingresso vintage, fatto con pallet di legno verniciate di azzurro, come un barchetta in un quadro naif.         

All’ingresso un parco e all’orizzonte un lago, detto “Lago per tutti cemento per nessuno!”

Uno splendido specchio d’acqua avvolto da una vegetazione rigogliosissima.

Incuriosita mi avvicino per raggiungere lo shopping mall e scorgo un edificio in mezzo al lago con interconnessioni e passerelle, open space, senza finestre né porte, con solai a sbalzo, struttura a vista e scale avveniristiche, impreziosite da decori in metallo, direi postliberty.

Relitti Urbani: Ex SNIA Viscosa “Lago per tutti cemento per nessuno"Il centro è circondato da stabilimenti retrò che mi ricordano le fabbriche degli inizi del secolo scorso.

In questi stabilimenti trovo delle cose molto interessanti, c’è il reparto giocattoli d’epoca.Relitti Urbani: Ex SNIA Viscosa “Lago per tutti cemento per nessuno"

e anche il settore dedicato all’arredo, poltrone vintage, che oggi fa tanto “cool”, tavoli e sedie in legno e inoltre un incredibile settore dedicato al “compostaggio rifiuti.”

Stop all’immaginazione, qui la storia surreale lascia il posto a quella reale; all’improvviso una voce proveniente da uno degli stabilimenti, presumibilmente di un uomo di origine araba, minaccia di aggredirmi se non vado via all’istante.

La voce di quell’uomo mi fa capire che dietro il lago, la natura rigogliosa e gli scheletri di cemento ci sono molte altre realtà. Dopo la meraviglia e lo sgomento raccolgo le informazioni necessarie per far chiarezza.

Mi trovavo negli stabilimenti, o meglio ciò che rimaneva, degli storici stabilimenti di via Prenestina, della SNIA Viscosa, una di quelle fabbriche che un tempo erano tra le più produttive della città. Si parla all’origine di Società di Navigazione Italo Americana (SNIA), con la funzione iniziale di controllare i trasporti marittimi tra Italia e Stati Uniti; poi trasformata in Società di Navigazione Industriale Applicazione Viscosa (SNIA Viscosa), che diventa una delle più importanti aziende del paese nella produzione di rayon. Rayon Viscosa è una fibra tessile artificiale che si produce attraverso la raffinazione chimica della cellulosa, dalla polpa del legno degli alberi ed anche dalla paglia e dal cotone.

La fabbrica, ubicata tra Portonaccio e via Prenestina, diventa negli anni ’30 un complesso fondamentale della zona, tanto da essere il rifugio antiaereo del quartiere, costruito sotto la fabbrica stessa; non solo, si lega inesorabilmente alle vicende storiche e politiche tanto da produrre tende, divise e zaini per i soldati al fronte.

La SNIA Viscosa è anche una storia fatta di tanto sacrificio da parte degli operai che fanno turni di 8 ore, sette giorni su sette, più gli straordinari, di donne costrette a barcamenarsi tra i doveri familiari e le lunghe ed estenuanti giornate lavorative; è anche storia di “pazzia”, l’intossicazione da inalazione di solfuro di carbonio portava come conseguenza una malattia che dava disturbi neurologici. Per alcuni operai tale intossicazione significò anche il ricovero al manicomio provinciale di S. Maria della Pietà.

La fabbrica nel 1955 chiude, cade il sipario e questi 14 ettari di territorio urbano e le tante vicende umane escono di scena definitivamente. Con il Piano regolatore del 1967, il famoso SDO, si poneva sull’area ex SNIA un vincolo di destinazione all’edificazione, impedendo di fatto l’edilizia privata. Fino a fine degli anni ‘80, dunque, i 14 ettari erano un quadratino rosa sulla mappa del Piano Regolatore, destinando le aree allo SDO (Sistema Direzionale Orientale). Finché uno dei costruttori romani, chissà come, nel 1990 acquista l’area per un intervento di edilizia privata. Dal 1994 il complesso viene abbandonato nuovamente, dopo che i proprietari del terreno, per realizzare, tra le altre cose, un enorme centro commerciale con un immenso e profondo parcheggio, intaccano e squarciano una falda acquifera e conseguentemente abbandonano tutto, strutture, cemento e tanto ferro, che si staglia nel cielo a formare delle vere e proprie installazioni. Neanche a dirlo, il lago è conseguenza della rottura della falda.

L’intero complesso è rimasto fermo li dagli anni 90, tranne la natura che si è ripresa tutto con gli interessi. La natura ha risposto con l’immensa sua forza creando un microcosmo all’interno della città. È veramente il caso di dire che il veleno si è trasformato in medicina. La rottura della falda acquifera, che, guarda un po’, deriva proprio da quella dell’acqua Vergine, crea un vero lago e non di acqua stagnante ma acqua che si rigenera.

Non è un caso che una delle vie limitrofe si chiami proprio “Via dell’acqua Bullicante”, ma probabilmente, presi da un unico obiettivo, quei signori che frettolosamente volevano erigere in quest’area un edificio ipogeo, tale riflessione non l’hanno colta. Ma del resto è stato un problema di distrazione, così come lo è stato anche quello relativo al cambio di colore sulle carte del Piano Regolatore, da rosa acceso ad azzurro chiaro che trasformava in un solo colpo la zona da vincolata a destinazione di servizi.

Continua a pagina 2

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