Vi avevamo già raccontato dell’uscita di Eyes Wide Open, il nuovo disco di Nina Pedersen, il primo per la prestigiosa etichetta norvegese Losen Records.

- Advertisement -

Ne abbiamo approfittato per fare quattro chiacchiere con l’artista norvegese di nascita ma italiana d’adozione.

Eyes Wide Open è il tuo terzo album, primo per Losen Records. Che differenze ci sono dai precedenti Songs From The Top Of The World (2011) e So Far So Good (2014)?

Le differenze sono tante, in primis sono cambiata io. Sono più sicura di me, ho capito cosa voglio fare e dove voglio andare. I primi tentativi di comporre erano degli esperimenti, un passo insicuro in un campo minato, ora scrivo perché non ne posso fare a meno.

Amo quel processo creativo più di tutto il resto, amo potermi immergere in quella dimensione. Il mestiere di musicista e autore è un mestiere che si impara strada facendo. Finire un disco è come finire un capitolo. Subito cominci a pensare al prossimo. È

una strana sensazione: lo promuovi, fai concerti, ne parli, quando in realtà la tua testa è già altrove.

Un disco ti fa capire quale direzione prendere per il prossimo.

Anche in questo album ti sei circondata di grandi personalità del jazz italiano: Scatozza, Principato e Loddo, con la partecipazione di Aldo Bassi e Paolo Innarella. Dicci qualcosa di più su questa collaborazione.

Eyes Wide Open - Nina PedersenLa scelta dei musicisti è nata in realtà un po’ per caso. Conoscevo ed apprezzavo il lavoro di Pierpaolo Principato.

Siamo colleghi alla Saint Louis College of Music a Roma, spesso ci si incontrava nei corridoi, così un giorno gli chiesi se gli andava di fare una suonatina. Avevo questi brani scritti da un po’ di tempo, avevo voglia di mettermi in gioco e farli sentire a qualcuno anche se ero terrorizzata dall’idea.

Sono una persona estremamente timida e un’insicura cronica!

Comunque avevo un concerto in un locale romano e ho chiamato anche Marco Loddo che già conoscevo tramite collaborazioni precedenti. Non pensavo che quel progetto poi sarebbe risultato in un disco.

Giampaolo Scatozza è entrato a far parte del gruppo dall’ultimo disco. È stato il batterista del mio primo quartetto jazz una ventina d’anni fa, poi lui si è trasferito all’estero, ma quando è tornato a vivere in Italia ci siamo di nuovo trovati a suonare insieme.

Avevo voglia di “modernizzare” un po’ il sound del gruppo, e lui essendo un esperto in musica elettronica ha portato quel tocco in più oltre ad essere ovviamente molto bravo!

Aldo Bassi ha suonato nel mio primo disco (quello dedicato alla musica norvegese) e mi faceva piacere averlo come ospite. Mi piace molto il suo sound.

Ho conosciuto invece Paolo Innarella un anno fa, e ci siamo subito trovati molto bene, ha un suono molto nordico. Abbiamo anche un altro progetto insieme. È fondamentale per me avere non solo musicisti bravi e capaci, ma avere, soprattutto, persone con cui mi trovo bene, c’è una bella atmosfera quando lavoriamo insieme.

Eyes Wide Open contiene brani firmati da te, fatta eccezione per Ribbon of Sand di John Surman e Karin Grok. Cosa ti ha spinto a interpretare questo pezzo?

Ho trovato questo brano in un libro di spartiti comprato in Norvegia. Me ne sono innamorata subito. Mi assomiglia molto e me lo sono sentito subito mio. Questa sua melodia così semplice, essenziale, è quasi disarmante, poi il testo è stupendo.

Però sentivamo il bisogno di stravolgerlo e ci ha pensato Pierpaolo, dandogli un’atmosfera quasi ipnotica. Mi piaceva tanto come veniva e l’ho voluto inserire nel disco.

Ho avuto il grande piacere qualche anno fa di incontrare tutti e due gli autori nella loro casa ad Oslo.

Io cantavo e John Surman mi accompagnava divinamente al pianoforte! Karin Krog è un mito, mi sento molto vicina al suo modo di cantare. Lei quando canta parla, è la regina assoluta del jazz vocale norvegese ed è tutt’ora molto attiva. Ha compiuto 80 anni quest’anno.

Non è un caso che la stessa Krog abbia firmato le liner notes dell’album. Karin ha apprezzato la vena narrativa dei tuoi brani: quali “storie” hai raccontato in Eyes Wide Open?

Ci sono storie e racconti ispirato da persone ed affetti che fanno parte della mia vita, ma che potrebbero benissimo fare parte della vita di tutti noi.

Ho scritto Mrs. Nilsen, per esempio, durante il nostro primo tournée in Norvegia per promuovere So Far So Good.

Io ho perso i miei genitori presto, non hanno fatto in tempo ad invecchiare e me li sono sempre immaginati come sarebbero stati da vecchi.

Forse per questo le persone anziane mi affascinano così tanto, mi piace guardarle e qualche volta mi sembra di poter leggere la loro storia nelle rughe sul loro viso. Potrei stare ore ed ore ad ascoltarli raccontare la loro vita, ho un ricordo lontano di mio nonno che mi parlava della guerra mondiale.

Solo dopo un po’ mi accorgo che stava parlando non della seconda, ma della prima guerra mondiale!

Questo uomo visse due guerre mondiali, vide nascere la macchina, l’aereo, il telefono, è  emigrato negli Stati Uniti, si è fatto una famiglia lì, poi è tornato in Norvegia, ha incontrato mia nonna ed è nata mia madre.

Quanto abbiamo da imparare dalle persone che hanno vissuto tutta una vita, invece spesso li vediamo solamente come dei vecchi.

Questa è la storia di Mrs. Nilsen, conosciamo tutti una Mrs. Nilsen.

Il cognome Nilsen è molto comune in Norvegia (come anche Pedersen tra l’altro), un po’ come il vostro Rossi.  L’ho chiamata così perché la prima volta che l’abbiamo suonato è stato al jazz club storico di Oslo: Herr Nilsen.

Poi parlo della solitudine di una casa vuota (These Empty Walls), tutta la poesia del sorgere di un nuovo giorno (Eyes Wide Open), e la necessità di ogni tanto stare da soli (Me, Myself and I). Granny’s Waltz è un inno alle nonne, in Now I’m Here cerco di esprimere quella piacevole sensazione di serenità e maturità trovata arrivando ad un certo punto della vita.

Questo brano l’ho scritto di getto il giorno prima di entrare in studio. Succede molto raramente!

Infine il rapporto madre e figlio. Ci ho messo più di due anni per scrivere Mother & Son ed ho scritto credo cinque versioni. Alla fine Giampaolo ha detto Basta! E mi sono arresa! Storie di vita vissuta, sarà banale, ma la vita stessa lo è…

Sei una figura anomala, al confine tra canzone d’autore e jazz: cosa ti affascina di queste due dimensioni musicali?

Il jazz è la musica che mi sta più a cuore. Lo amo, l’ho studiato e lo insegno. Quello che non amo sono alcune mentalità nell’ambiente.

Mi piace sentire musicisti che sono tecnicamente molto bravi ma mi emoziono di più sentire meno note e più personalità. Non amo le jam, non amo il fatto di dover sempre “dimostrare” qualcosa.

Spesso ho la sensazione che i jazzisti suonino solamente per i jazzisti, ma questo in fondo forse è il jazz.

Sono note la tua attenzione e cura verso le tue radici scandinave, ma da anni vivi a Roma: quanto ti influenza nella scrittura e in generale nel fare musica vivere in una città così diversa da quelle norvegesi?

Mi sento sicuramente più vicina al jazz nordico come forma d’espressione. La semplicità nelle cose, il minimalismo.

Un musicista norvegese è sicuramente meno indirizzato ad uno studio di linguaggio conforme, e probabilmente è spesso meno capace tecnicamente parlando, ma credo che siano più creativi.

Trovo che siano più bravi nella ricerca di un proprio linguaggio, che poi spesso va al di fuori di quello che noi chiamiamo jazz.

Il mondo dei cantautori a dire la verità  lo conosco poco… specialmente quelli italiani, ma mi hanno sempre affascinato alcuni cantautori norvegesi e la loro padronanza della lingua.

Testi meravigliosi, a volte poetici, a volte divertenti, a volte tristi.

Il testo nel jazz è all’ultimo posto, se c’è o non c’è tante volte non ha nessuna importanza. Principalmente è la musica che conta.

In Italia poi c’è il fatto che, ahimè, spesso e volentieri chi ti ascolta non capisce l’inglese (spesso anche chi canta).

Al mio primo tour norvegese, mentre cantavo, mi accorgevo che il pubblico capiva le parole, stavano seguendo il testo! È stato un momento pazzesco, mi sono resa conto che non solo stavo cantando, ma gli stavo raccontando una storia.

Per me le parole sono importanti quanto la musica e ci metto tanto lavoro nello scrivere un testo.

Ci sono tanti artisti bravissimi che scrivono bene, Norma Winston, David Linx per esempio, ma credo di non aver mai letto in una recensione italiana che “i testi sono belli!”…

Mi sento un po’ sdoppiata in questo senso. In tutti i sensi in realtà. Mi trovo ad essere straniera ovunque sia, mi sento norvegese in Italia e italiana in Norvegia.

Non ho più una madrelingua, parlo norvegese pensando in italiano e il mio accento nordico si sente, e come se si sente!

In giro per Roma dove vivo da 27 anni, in qualsiasi negozio mi trattano da turista. Nel bene e nel male, è un po’ come avere due patrie, ma nessun posto che chiami “casa”. Una sensazione strana.

Potrei dire che mi sento un po’ così anche musicalmente, e questo ha tanti lati positivi, ma non sempre gioca a mio favore…

Da Terje Rypdal a Nils Petter Molvaer, il jazz “nordico” ha sempre mostrato delle interessanti peculiarità: c’è qualche artista della tua terra che ammiri in modo particolare e che vuoi segnalarci?

Ci sono tanti artisti che ammiro! Ho un debole in assoluto per i contrabbassisti, quando ascolto musica strumentale sono quasi sempre artisti contrabbassisti quelli che mi catturano.

Scrivono in un modo sicuramente diverso, non essendo il contrabbasso uno strumento armonico.

Trovo che scrivano in modo molto “cantabile” suonando uno strumento che originariamente non era previsto come uno strumento che poteva anche fare dei soli o delle melodie.

Io sono una di quelli che NON si addormenta durante il solo di basso. Adoro il contrabbassista svedese Lars Danielsson, le sue composizioni sono meravigliose, amo anche molto Arild Andersen, un altro contrabbassista norvegese. Poi c’è  Anders Jormin, Palle Danielsson, sempre svedesi. E poi amo Esbjorn Svensson, e non sono la sola.

Di cantanti nordici segnalerei Radka Toneff, dotata di un immenso talento comunicativo, più che doti vocali, scomparsa purtroppo in età molto giovane.  Sidsel Endresen è l’erede di Karin Krog, anche se sono degli artisti molto diversi.

Sidsel ha un timbro che fa invidia ed una espressività unica.  Poi ci sono tante altre voci interessanti ed innovative: Live Maria Roggen, Solveig Slettahjell, Elin Rosseland, Eldbjørg Raknes, Susanna Wallumrød, e non dimentichiamo Mari Boine, di origine lappone. Le sue collaborazioni con Jan Garbarek sono note.

Dalla Norvegia all’Italia: cosa ne pensi del panorama jazz nostrano?

Trovo che il jazz italiano goda di ottima salute! Ho il privilegio e la fortuna di insegnare in una delle scuole di jazz più importanti del paese e vedo crescere la nuova generazione di musicisti… Sono svegli, si impegnano, e sono bravi! Ci sono tanti di quei talenti in giro…

Però amo il jazz italiano quando, appunto, è jazz ITALIANO!

Amo quegli artisti che riescono a creare del jazz basandosi alla propria tradizione. Gli italiani sono un popolo così pieno di colori, un popolo molto più estroverso rispetto a noi nordici, c’è più fantasia e avete un bagaglio culturale ed una storia che noi ce la sogniamo.

L’Italia è uno dei paesi più belli del mondo, esteticamente parlando. I miei occhi nordici non si stancano mai di questa bellezza mozzafiato, è bello quando tutte queste cose si rispecchiano nella musica.

Non capisco perché per forza bisogna andare oltreoceano per trovare l’ispirazione.

Non voglio essere fraintesa: sono molto legata alla tradizione americana, adoro gli standard e il “Songbook” americano, ma una volta imparato il Realbook a memoria, bisognerebbe chiuderlo, rimetterlo nella libreria e camminare con le proprie gambe. Secondo me.

Eyes Wide Open apparirà anche dal vivo, a partire dal 10 novembre all’Auditorium. Cosa accadrà durante i concerti?

Parto a fine mese per i fiordi norvegesi dove presenterò il disco in versione Big Band!

È iniziata una bellissima collaborazione con Hardanger Big Band qualche anno fa, è piaciuto così tanto il mio lavoro che hanno deciso di far arrangiare i brani per Big Band.

Sarà davvero una grande emozione, faremo quattro concerti a Bergen e nelle vicinanze.

Poi c’è la presentazione ufficiale del disco all’Auditorium a Roma il 10 di novembre.

Ci sarà ovviamente il mio trio e i due ospiti, Aldo Bassi e Paolo Innarella, e poi ci sarà anche la presenza del mio coro jazz, che dirigo e che ho fondato ben 16 anni fa. Occuparsi della musica anche a livello amatoriale per me è fondamentale.

Mi aiuta a livello professionale, perché è incredibile vedere come la musica sia in grado di trasformare le persone. Queste persone a loro volta trasformano me. Il coro è un po’ diventato la mia famiglia, e sono contenta di poter portare con me sul palco nella sala Petrassi una quarantina di parenti.

Questo è un comunicato stampa, pertanto le immagini sono fornite dall’Ufficio Stampa dell’artista/manifestazione. Si declina ogni responsabilità riferibile ai crediti e riconoscimento dei relativi diritti.

- Advertisement -

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.