Inaugurata con Il Giardino dei Ciliegi di Cechov la nuova stagione del Teatro Stabile Sloveno di Trieste. La regia affidata ancora una volta al talento di Igor Pison.

Il giardino dei ciliegi è stata l’ultima fatica di Cechov prima della sua morte per infarto, debilitato dalla tubercolosi, avvenuta sei mesi dopo la prima dello spettacolo nel 1904. Benché nelle intenzioni dell’autore voleva che fosse una commedia, a tratti una farsa, in essa si respira comunque la malinconia per la fine prossima dello scrittore.

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E questo senso di malinconia attraversa la pièce dall’inizio alla fine ma torniamo all’adattamento di Igor Pison che ancora una volta non si smentisce e che apprezziamo ogni volta un po’ di più.

Tempus Fugit
Il giardino dei ciliegi
Primož Forte

Prima di tutto si nota la scelta di chi ha curato l’adattamento (lo stesso Igor Pison, Eva Kraševec e Tatjana Stanic) di ridurre gli attori dai 18 previsti a 6 che corrispondo all’essenza dell’opera di Cechov e, partendo dal filo conduttore della malinconia, troviamo i nostri sei attori, anzi cinque più uno. I cinque rappresentano i malinconici, coloro che, rifiutando il progresso, vivono ancorati al prestigioso passato senza rendersi conto che il tempo è inarrestabile e sta sfuggendo loro di mano.

Quell’uno è rappresentato dal personaggio di Jermolaj Aleksejic Lophain (Primož Forte), figlio di contadini ed arricchito imprenditore, l’unico che invece capisce che bisogna andare avanti senza guardarsi troppo indietro, anche se per lui tutto sommato è semplice, perché dietro c’è solo un passato di miseria. Lui, in quanto figlio dei contadini, nel famoso giardino dei ciliegi non poteva nemmeno metterci piede.

La scena (realizzata da Petra Veber) si apre su tre grandi divani ricoperti da teli bianchi come si fa nelle case di vacanza per non farli impolverare con qualche dettaglio rosso (i cuscini, le scarpe, i calzini). Alle spalle ampi tendaggi che si muovono per il soffio di un vento fresco.

Siamo alla vigilia della giornata della vendita all’asta della villa e del suo giardino. L’ambientazione è volutamente senza tempo, potrebbe essere quella originale di inizio 900, gli anni ’70 o il giorno d’oggi proprio a dimostrazione della difficoltà atavica dell’uomo di andare incontro a nuove vite.

Ridere per non piangere

A dominare la scena troviamo il personaggio di Ljubov Andrejevna Ranevska (Saša Pavček), protagonista assoluta nel tentativo di fermare il tempo. Quella sonora risata nella quale si cela nei momenti di difficoltà racconta più di mille parole. In quella risata, in cui accoglie anche gli altri attori, c’è il rifugio sicuro, quel posto in cui nessuno ti può nuocere e da cui il progresso non ti può strappare.

Gli altri attori sono il pigro Leonid (Vladimir Jurc), le due figlie della protagonista, Anja (Tina Gunzek), Varja (Nikla Petruška Panizon), e l’eterno studente Trofimov (Tadej Pišek).

Interessante la figura di Trofimov in cui possiamo riconoscere anche parecchi intellettuali del nostro tempo, quelli che dovrebbero aiutarci a trovare nuove strade, o semplicemente migliori, e che invece decidono di non realizzarsi mai. Intellettuali che percepiscono il progresso ma non trovano nessuna realizzazione pratica preferendo quindi un passato sicuro.

Ma in quel passato non sentono il rumore delle seghe che si accaniscono sui ciliegi del giardino.

Pour toi mon amour

Je suis allé au marché aux oiseaux
Et j’ai acheté des oiseaux
Pour toi
mon amour
Je suis allé au marché aux fleurs
Et j’ai acheté des fleurs
Pour toi
mon amour
Je suis allé au marché à la ferraille
Et j’ai acheté des chaînes
De lourdes chaînes
Pour toi
mon amour
Et puis je suis allé au marché aux esclaves
Et je t’ai cherchée
Mais je ne t’ai pas trouvée
mon amour

(J. Prévert – 1946)

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