La FESTA DELLA REPUBBLICA vista con gli occhi di Giancarlo Nicoletti

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LA “FESTA DELLA REPUBBLICA” VISTA CON GLI OCCHI DI GIANCARLO NICOLETTI

Ha fatto ridere e riflettere il pubblico romano e ora Giancarlo Nicoletti porta il suo affresco di un’Italia allo sbando al Teatro Stabile di Innovazione Galleria Toledo di Napoli il 26 e 27 settembre.

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Festa della Repubblica, Cortocircuito teatrale è uno spettacolo firmato dal giovane autore e regista siciliano che, insieme ad altri dieci attori, parte con òa tournèe #trattativatour2016 proprio dalla città campana.

La trattativa Stato/Mafia, i reality show, la “tv del dolore”, le origini della lingua italia, politici corrotti e giornalisti venduti. Questi e tanti altri sono i temi trattati dal giovane autore che, con Festa della Repubblica, ha dato vita ad un teatro contemporaneo dove sperimentazione, commedia, dramma si intrecciano in un lavoro più che mai attuale.

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Nicoletti, qualche giorno dopo la conferenza stampa di “Stazioni di Emergenza” la rassegna organizzata dalla Galleria Toledo. Festa della Repubblica, infatti, è tra i cinque finalisti del contest nazionale.

Giancarlo Nicoletti, sei tra i cinque finalisti al contest nazionale “Stazioni di Emergenza 2015”, una gran bella soddisfazione?

Sì, decisamente. E’ una vetrina molto importante del Teatro d’Avanguardia italiano, ed è veramente una grande soddisfazione essere fra i 5 finalisti. Si inserisce, fra l’altro, in un anno già pieno di tanti riconoscimenti, dalla selezione del premio Cappelletti al Premio Nazionale di Drammaturgia del DO.IT. A riprova del fatto che la costanza e il lavoro alla fine premiano, anche in un ambito così difficile e particolare, come il Teatro.

 

Festa della Repubblica, è il titolo dello spettacolo. Perché “Cortocircuito teatrale”?

Cortocircuito perché in “Festa della Repubblica” tutti gli elementi che compongono il lavoro, sia quelli drammaturgici, registici, di impostazione attoriale, sia quelli stilistici, contenutistici, relativi al messaggio, sono portati, in un certo senso, alle estreme conseguenze del proprio essere e del proprio farsi, anche in relazione a quella che è la produzione teatrale attuale in Italia e altrove. E il portarli alle estreme conseguenze, tutti e contemporaneamente, produce esattamente quest’effetto: quello di farli cortocircuitare fra loro. E’ la volontà di fare esplodere sia il teatro come sistema che il sistema come teatro. Il risultato finale è quella contaminazione degli stili, ma anche dei contenuti, dei linguaggi e delle forme canoniche. Paradossalmente, mi è sembrato un buon tentativo di dare un nome, e quindi un significato alla contemporaneità, che fa della frammentazione la sua essenza e a volte la sua sterile giustificazione.

 

Sono tanti gli attori in scena, undici per la precisione. SI parla anche di una tournée. Del tutto in controtendenza. Immagino sia grande la produzione che vi sostiene?

Assolutamente no, la nostra struttura di Collettivo Teatrale è improntata alla produzione autonoma dei lavori. Non abbiamo finanziatori e non godiamo di finanziamenti pubblici. Abbiamo il pubblico, che ci sostiene, e abbiamo una gestione finanziaria delle risorse che cerchiamo di gestire al meglio.

Indubbiamente viaggiamo in controtendenza: gli spettacoli che superano i 6/7 attori difficilmente vedono la luce di una distribuzione in Italia, allo stato attuale delle cose. Ma è una regola imprescindibile quella per cui è sempre e solo il fattore economico a doverla fare da padrone, anche quando si tratta di scelte artistiche? Abbiamo voluto prenderci la responsabilità di fare qualcosa di diverso, privilegiando il prodotto artistico rispetto ad altro. Probabilmente ci costerà caro, ma è un rischio che bisogna mettere in conto.

 

Ma precisamente di cosa si parla in Festa delle Repubblica?

Se dovessi descrivere la sinossi dettagliata, ci vorrebbero pagine e pagine: la trama è molto intrecciata, ma il suo sviluppo, durante lo spettacolo, si segue agevolmente. Quello che posso dire è che c’è una storia, e fino alla fine il pubblico vuole sapere come va a finire: questo, probabilmente, rimane come uno dei punti di forza dello spettacolo. In “Festa della Repubblica” si parla di noi, di come stiamo, di cosa cerchiamo da un decennio o ventennio a questa parte; di come siamo cambiati, della dissoluzione culturale, artistica, giuridica, istituzionale, morale. Ma lo si fa ridendo, con una risata amara e cinica, che si innesta grottescamente sulla tragicità della situazione. Il testo abbonda di situazioni comiche, volutamente, ma il riso non è mai fine a sé stesso. E’ un riso dianoetico dal sapore beckettiano, quello per cui “niente è più grottesco del tragico.”

 

Un lavoro complesso e attuale ma, in base alla situazione italiana, pensi che questa attualità possa caratterizzare a lungo questo lavoro?

Nell’intero lavoro ciò che è attuale, è il clima, la temperie, la volontà forte di affrescare un periodo di circa vent’anni che ci ha inevitabilmente cambiato; ma non ci sono riferimenti pesantemente ancorati a personaggi o fatti di attualità, intesa come cronaca quotidiana.

C’è un richiamo a una serie di argomenti che sono parte dell’attualità italiana, praticamente in maniera continua, dal dopoguerra in poi: il complottismo, il rapporto fra Stato e Mafia, la scalata al successo, la corruzione, la libertà di stampa, e altri ancora. Ma non è teatro cronaca, né teatro documentario: è teatro politico o meglio ancora sociale, ma senza volontà di proselitsimo ideologico. E’ un teatro attuale e pensato per il pubblico, come può esserlo qualsiasi altro lavoro della drammaturgia di ogni periodo, è un teatro che cerca di fare dei vari livelli di lettura il proprio modo di proporsi.

 

Cosa ti aspetti dal pubblico partenopeo?

Il calore che è insito nell’anima stessa dell’essere napoletano, e la competenza di un pubblico che è abituato al teatro, come forse poche città nel mondo. Napoli e la cultura partenopea sono legate alla tradizione drammaturgica europea in maniera indissolubile, e non solo grazie ad Eduardo, che naturalmente rimane l’esponente più importante. Napoli è teatro, i napoletani sono teatro. E trovo sia una ricchezza culturale e umana unica, e veramente rara. E’ un pubblico da rispettare in maniera particolare, e che – parlo per esperienza – ti gratifica in un modo assolutamente speciale; aprire la stagione a Napoli ci carica non solo di entusiasmo, ma anche di responsabilità.

 

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