La compagnia di Pistoia arriva a Fucina Culturale Machiavelli di Verona e porta il suo mercante in fiera dei santi.

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IL GIOCO

La prima cosa è la consegna agli spettatori di un sacchetto di fiches a inizio spettacolo. La seconda sono i fili da bucato che attraversano il palco aperto da parte a parte. Basta questo per far cominciare il mormorio in sala. Del resto la serata è stata pubblicizzata con la promessa di audience engagement quindi siamo già preparati all’idea che questo sarà uno spettacolo diverso.

Il battitore d’asta sale sul palco e spiega le regole. Ci sono cinquantadue santi in vendita stasera e saranno consegnati al miglior offerente. Ci mettiamo poco a capire il meccanismo del gioco. Poi per quasi due ore i santi, rappresentati con disegni di pesci deformi su giganti carte da gioco, scorrono uno dopo l’altro: le vite devote, le morti truci e gli improbabili patroni.

DIVERTIMENTO PER IL DIVERTIMENTO

Si ride in sala. Si ride di quello che viene detto sul palco – ovvero dello spettacolo in senso stretto – ma si ride anche del gioco.

Anzi, si ride giocando. Quello de Gli omini è un esperimento di audience engagement quasi estremo, che non pone nessuna barriera tra i due lati del palcoscenico. La performance dell’attore e l’ascolto passivo dello spettatore si scardinano entrambi e i ruoli sono continuamente invertiti. Non c’è storia da seguire, non c’è nessuna vera narrazione. Se non quella che stiamo creando insieme stando alle regole e partecipando al gioco, una storia sempre diversa di sera in sera. La sensazione principale è quella della leggerezza, di un divertimento fine a se stesso che non ha bisogno di altro per giustificarsi. Un esercizio di puro intrattenimento.

Da notare anche che lo spettacolo Gli Omini è stato inserito nel programma grazie agli Spettatori Artistici, l’iniziativa di Fucina Culturale Machiavelli che permette ad alcuni spettatori di essere coinvolti nella direzione artistica del teatro. La dimostrazione che anche dal pubblico è sentito a volte il bisogno di un divertimento disimpegnato.

A CHE SANTO VOTARSI

E se proprio il solo divertimento non è qualcosa di sufficiente per legittimare l’esistenza di uno spettacolo teatrale, il suo essere, una parola ritorna spesso durante la serata: agiografia. Le vite dei santi sono la materia dello spettacolo e uno dopo l’altro sfilano davanti allo spettatore, anche in tutta la loro assurdità. C’è una comicità facile nel prendersi gioco del sacro, nel mettere in parodia le cose che si prendono troppo sul serio. E c’è dell’assurdo già inscritto nelle vite di alcuni di loro, nella quasi cinica ironia di alcuni patroni, nel paradossale di alcuni episodi. Ma forse su questo dovrebbe fermarsi la riflessione: perché ci votiamo al cielo? Perché possediamo questa massa così importante – al limite del politeismo – di tradizione e letteratura sui santi? Che cosa dice della nostra cultura e del nostro rapporto con il sacro? C’è del comico anche in questo: nel modo in cui ci strattoniamo tra di noi per accaparrarci la protezione di altri uomini come noi.

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