74 giorni sospesi

“Il mare ti lusinga e ti mortifica, ti alimenta e ti mangia, ti dà e ti toglie: e tutto, sempre, nello stesso istante. È la tua ombra a scendere a terra, ma il tuo corpo continua a lambire le onde”   Joseph Conrad, Taccuini

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74 giorni sospesi, spettacolo inedito sulla storia del naufragio di Ambrogio Fogar e Mauro Mancini, debutta in prima nazionale il 5 e 6 aprile al Teatro Miela Bonawentura di Trieste.

Nato come reading musicale per la Notte Blu dei Teatri del 2017, 74 giorni sospesi è proposto oggi in un adattamento teatrale semplice e d’effetto ad opera del regista Massimo Navone. Gli attori Ivan Zerbinati e Alessandro Mizzi interpretano i due naufraghi di questa storia fuori dall’ordinario.

La vicenda

L’esploratore Ambrogio Fogar partì nel 1978 a bordo del Surprise, la barca a vela con cui qualche anno prima era riuscito a eseguire la circumnavigazione del globo in solitaria, per compiere una nuova impresa: il periplo dell’Antartide. Questa volta, però, non era da solo ma in compagnia dell’amico e giornalista Mauro Mancini che lo accompagnò per documentare la traversata.

Il 19 gennaio del 1978 duecento miglia a nord delle Isole Falkland, il Surprise fu affondato in 4 minuti da un branco di orche. I due ebbero giusto il tempo di approntare la zattera auto-gonfiabile di emergenza e portare con sé zucchero e pancetta prima che l’imbarcazione si inabissasse.

Passarono 74 giorni in mare aperto “senza che nessuno abbia potuto e saputo cercarci” – come scrive Mancini in una lettera alla moglie – fino a quando non furono salvati da un mercantile greco. Durante il naufragio i due resistettero alla fame e alle intemperie riducendosi pelle ed ossa in attesa di un miracolo. Sebbene la storia sembri avere un lieto fine, Mauro Mancini debilitato e dimagrito di oltre 40 chili morì sulla nave che lì salvo a causa di una polmonite.

74 giorni sospesi
74 giorni sospesi
Sul palco in mezzo all’oceano

Prima di una partenza le preoccupazioni si tramutano spesso in euforia ed è proprio in questo clima elettrico che si apre lo spettacolo. I due esploratori si presentano al pubblico nell’emozione dell’impresa, ognuno con la propria personalità.

Ivan Zerbinati interpreta vivace e mai scontato un Ambrogio Fogar appassionato, temerario e molto credente. Alessandro Mizzi nel ruolo di Mauro Mancini restituisce nitido e generoso la razionalità e la semplicità del giornalista grossetano nel suo sentirsi più vicino alla gente comune che agli eroi.

Compagni di viaggio, di sventura, e amici. Zerbinati e Mizzi ci raccontano, al di là della triste vicenda, una storia che parla di uomini, uomini che resistono l’uno grazie all’altro in condizioni che di umano hanno ben poco. Lo fanno attraverso la lettura del diario di bordo e delle lettere scritte sulla zattera, ma anche con i corpi che si plasmano sullo sciacquio delle onde e con le voci che tentano di colmare lo spazio inabitato del mare aperto.

La scenografia è composta solo da una zattera sospesa sul palco, sospesa come i naufraghi in attesa di essere salvati. L’allestimento scenico e i suoni che richiamano esplicitamente quelli delle onde privano lo spettatore di qualsiasi punto di riferimento come fosse anch’egli in mezzo al mare. L’idea registica di Navone del continuo richiamo all’acqua, senza che una goccia di essa si veda sul palco, ha un forte potere immaginifico. Lo spettatore è coinvolto sia dallo svolgersi del racconto sia dalla continua percezione dell’inesorabile presenza del mare. 

Siamo tutti su una zattera

74 giorni sospesi è uno spettacolo poetico. Il giusto tributo a una vicenda realmente accaduta che non viene ricordata a sufficienza. Una storia straordinaria e universale al tempo stesso che racconta la forza dell’amicizia, dell’umanità e della voglia di vivere.

Per concludere con le parole di Mauro Mancini: è “un’esperienza che può servire anche a chi non naufragherà mai. Ciò che conta è la volontà di vivere, di non arrendersi e continuare. Siamo tutti su una zattera”.

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