È andato in scena al Teatro Miela di Trieste il secondo spettacolo nella “Trilogia sulle Intelligenze Artificiali” di Giuseppe Nicodemo.

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Sono tempi di distanze questi. Tempi in cui stare lontani è una necessità e anche quindi un elemento ubiquo delle nostre vite. Questa distanza era sul palco anche ieri sera, portata dal testo e nella produzione Bonawentura in collaborazione con il HNK “Ivan pl. Zajc”- Dramma italiano.

I protagonisti infatti sono una nonna e un nipote – Leo e Armida nell’interpretazione di Laura Bussani e Francesco Godina – che non si incontrano mai, impegnati in un continuo dialogo sempre a distanza o nell’assenza. La terza voce del dialogo poi è una onnipresente però allo stesso tempo ugualmente distante: quella di un’Intelligenza Artificiale. Alex l’assistente virtuale è il vero confidente della casa: una voce robotica ma piena di personalità che ascolta e interviene nei monologhi che i due personaggi fanno a se stessi perché in qualche modo non possono farli l’uno l’altro.

La lontananza è fisica certo, ma è anche e soprattutto emotiva. Quella particolare specie di distacco e insieme dolorosa comprensione di questo che è propria dei rapporti familiari. Il gioco è quello di un segreto mai detto ma conosciuto da tutti. Nella distanza creata dai silenzi e dai non detti, vive nella vergogna, si fa materia di repressione.

Il segreto è uno anche taciuto al pubblico. Il vero tema dello spettacolo infatti non è presentato nelle locandine o nelle sinossi della trama ma si svela pian piano nel corso della pièce fino a inghiottirla. L’Intelligenza Artificiale diventa allora solo un intrigante espediente, un modo per rimandare allo spettatore un senso di distacco che però riguarda tutto un altro argomento. Non si parla allora tanto di tecnologia, quanto di umanità. Distanze che non sono create dalla tecnologia, spesso accusata di ciò, ma dal pregiudizio umano. I dialoghi con Alex allora sono conversazioni umane, spesso confessioni, che attraverso la voce robotica e finta, rimandano il personaggio a se stesso.

La riconciliazione di Leo e Armida tra di loro e con se stessi alla fine passa anche attraverso la voce del robot, che diventa in un certo modo la voce della coscienza.  

Le immagini nel presente articolo sono state fornite dall’ufficio stampa del Teatro Miela
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