Eden. La musica anni ’90 raccontata attraverso gli occhi di Mia Hansen e del suo Paul

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Oggi è stato il turno di “Eden” a dare l’avvio alla seconda giornata del Festival Internazionale del Film di Roma. Presentato in anteprima al Festival Internazionale del Film di Toronto, è il quarto lungometraggio di Mia Hansen-Løve, giovane cineasta francese classificata da Variety tra i 10 registi internazionali da conoscere assolutamente.

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Premiata a Cannes per il suo primo film “Tout est pardonné“, stavolta sceglie di ripercorrere la storia del French touch, una tipologia di musica elettronica diventata popolare negli anni ’90, attraverso gli occhi di Paul (Félix de Givry), un giovane DJ che, tra alti e bassi, riuscirà a realizzare i propri sogni di fama e successo.

In parte ispirata alla vera storia del fratello della regista, Sven, compito della storia non è semplicemente raccontarsi ma anche mostrare alle nuove generazioni come sono nati gli artisti di cui si parla ancora oggi.
Il protagonista, infatti, incontrerà durante la sua carriera dj e musicisti come i Daft Punk, Dimitri from Paris, Cassius e Alex Gopher.
Questi influenzeranno Paul ed il suo stile di vita. Rave e serate passate alla console spingeranno lui e i suoi amici a sprofondare nella tossicodipendenza e nell’alcol impedendogli, fino a tarda età, di avere una vita realmente soddisfacente.

Con regia e fotografia minimali ma ben realizzate, “Eden” riesce sicuramente a catturare il pubblico nella visione dell’autodistruzione del protagonista. Sempre meno interessato alla vita diurna, è la notte e le luci dei locali a dominare l’intera pellicola e la mente di Paul. Questi sembra quasi ossessionato dai colori e dai suoni delle serate cercando in essi una protezione dalla realtà del giorno e dalle sue responsabilità.
Continua a ripetersi che non vorrà fare il DJ per tutta la vita eppure non riesce a separarsi da questo mondo.

Nonostante la pecca della recitazione, che a volte risulta sorprendentemente piatta rispetto ad altri segmenti dello stesso film, “Eden” riesce quindi a conquistare un posto tra le opere più interessanti presenti a questa edizione del Festival Internazionale grazie ad un ottimo soggetto e all’abilità di Mia Hansen nel saperlo sviluppare.

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