In the name of the street: la fotografia d’arte urbana di Gloria Viggiani

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di Alessia Carlino

“Vorrei aggiungere solo un’ultima cosa, dipingere con la persona che si ama è qualcosa di speciale.”

Per la prima volta comincio un’intervista dalla fine, queste ultime parole che Gloria Viggiani mi ha lasciato, credo riassumano tutta la passione che c’è dietro il suo lavoro. Gloria Viggiani è una giovane fotografa romana, i suoi scatti sono dediti a raccontare il mondo che ruota intorno alla street art e al fenomeno dei graffiti. Gloria non è solo una fotografa, il suo amore per questo ambiente nasce da lontano, da quando ragazzina andava a dipingere di nascosto sentendosi parte di una grande famiglia cresciuta in seno all’universo dei writers. Gloria mi ha raccontato il suo percorso e l’evoluzione del suo lavoro, le sue foto sono testimonianze preziose di una generazione di artisti che hanno fatto della strada il loro percorso di vita.

Vorrei cominciare parlando della tua passione per la fotografia, da cosa è scaturita e quando hai ragionato sul fatto che questo potesse diventare il tuo mestiere?

Ho iniziato ad impugnare una macchina fotografica da bambina quando per immortalare i miei ricordi d’infanzia utilizzavo la classica analogica automatica. Col tempo ho iniziato a vedere quei ricordi con emozione, la stessa che contraddistingueva il momento in cui li immortalavo. Per un periodo ho abbandonato tutto, poi in seguito alla morte di mia madre ho ritrovato la passione, quell’evento che ha segnato la mia vita mi riportò a fotografare, era l’unica cosa che mi faceva stare bene. Da quel momento iniziai a ritrarre le cose che mi circondavano e che amavo, molte persone in quel periodo mi incoraggiavano a riprendere in mano la fotografia così decisi di iscrivermi all’Istituto Europeo di Design dove ho approfondito gli aspetti tecnici del mestiere ma anche quanto fosse importante sviluppare il mio filtro di sensibilità.

Nel 2010 Outdoor, il festival di urban art di Roma, mi commissionò la campagna pubblicitaria dell’evento e iniziai a seguire anche la rassegna, ho conosciuto JB Rock, Sten&Lex, C215 ed è iniziato il mio percorso fotografico in seno alla street art.

Questo connubio tra fotografia e street art deriva anche dalle tue origini, dall’aver frequentato sin da piccola l’ambiente underground romano, cosa ne pensi del boom mediatico che sta acquisendo il fenomeno dell’arte urbana?

Forse si sta iniziando a sfruttare troppo il fenomeno, la street art comincia ad essere introdotta anche in contesti avulsi dove la sua presenza è superflua. Vengono creati a tavolini artisti dall’oggi al domani, come se si trattasse di un prodotto industriale, non c’è più quel sentimento pervaso dalla volontà di vivere la strada, la maggior parte delle opere è prodotta su commissione, c’è qualcosa che si sta perdendo anche se esistono ancora creativi che intraprendono il loro mestiere con passione e che conoscono quest’ambiente perché provengono dai graffiti.

 Il tuo approccio verso il mondo dei graffiti comincia però prima della scoperta fotografica, come è nata questa passione?

 Ho iniziato a fare graffiti nel 2000, cominciai a fare pezzi con Brus e con la TNT crew. Tra i banchi di scuola ammiravo vedere i lavori di grandi writers come Blef, Mind Stand, la TRV crew, la 23 records, la Puf crew, mi piaceva osservare i treni dipinti ed ero affascinata dall’illegalità che circondava questo fenomeno e i principi che lo regolavano.

La notte uscivo di nascosto da casa per dipingere, sono indescrivibili le sensazioni che provavo, si stabilivano grandi legami di amicizia, era come vivere in una sorta di famiglia.

Il mondo dei graffiti è composto da diversi marchi: la tag, la flop, il throw up sono parte di questo variegato ambiente, io amo un tipo di lavoro legato particolarmente alla ricerca della creazione delle lettere, alla riconoscibilità di uno stile, ogni singolo aspetto di questo fenomeno è importante ed è essenziale per un writer che vuole definirsi completo sperimentare ciascuno di questi lavori.

 Il tuo background ha segnato profondamente il tuo approccio all’arte, è stata una casualità questo connubio con la fotografia o è il frutto di una scelta consequenziale?

Quando facevo graffiti non fotografavo i lavori altrui, ero concentrata sulle mie opere e non possedevo quella predisposizione a documentare. Oggi comprendo l’importanza di quelle immagini che non ho mai realizzato, avrebbero costituito una testimonianza fondamentale per descrivere l’ambiente romano di quegli anni.

Amo la fotografia di reportage, l’emozione di cercare un momento, anche in seno all’illegalità immergendomi nella strada. Il sotto suolo metropolitano è un ambiente ricco di storie, persone, fatti che nella maggior parte dei casi vengono ignorate perché nascoste agli occhi della gente. La fotografia d’arte urbana possiede la stessa attitudine, il medesimo motivo per cui da ragazzina cominciai a fare graffiti.

Qual è stato il momento che ricordi con maggiore emozione nel percorso che ti ha portato verso la fotografia d’arte urbana?

Vorrei fare una premessa, la fotografia di street art per me è in prima istanza una passione, mi hanno chiesto varie volte di vendere foto di Alicè, di Blu ma non ho mai accettato perché non metto in vendita le mie emozioni.

Lo scatto che ricordo con grande emotività è quello che realizzai per la prima edizione di Outdoor al muro di Sten&Lex (n.d.r. l’immagine di copertina dell’articolo). Fui l’unica ad arrivare sulla terrazza all’ultimo piano dell’edificio situato a Garbatella, avevo paura perché soffrivo di vertigini, ma nonostante questo mi sporsi e scattai. La suggestione di quella foto la porto ancora con me, è stata una bella soddisfazione.

Gloria tra gli artisti che ancora non hai immortalato chi desidereresti facesse parte del tuo archivio fotografico?

 Vorrei trasferirmi all’estero, poter sondare diverse realtà rispetto a quella italiana, conoscere l’ambiente underground fuori dal nostro paese. Nel mio archivio vorrei annoverare due artisti: Dran e Aryz.

Blu era un sogno che ho realizzato recentemente quando ha fatto degli interventi sulla via ostiense e al porto fluviale, sono stata ore appostata nonostante la sua contrarietà nell’essere immortalato, un giorno spero di rincontrarlo e magari regalargli le stampe dei miei scatti. La fotografia d’arte urbana mi ha dato molto, mi ha permesso di conoscere persone speciali come Remed, un incontro illuminante, e soprattutto ho avuto la possibilità di conoscere Alicé, un’artista eccezionale diventata una delle amiche più preziose che ho.

 Quali progetti hai in serbo nel tuo percorso artistico?

Sto lavorando su un reportage che lega l’arte alla questione sociale, nei pressi di Roma, in zona la Rustica, esiste un fabbricato abbandonato che è stato occupato da diverse persone. In quegli ambienti grigi stanno arrivando diversi artisti a lavorare per dare colore e speranza ad un luogo che è parte di quel sotto suolo di cui ti raccontavo.

Questa è la fotografia che amo ed il senso profondo del mio mestiere.

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