Norvegia. Diario di viaggio. Prima parte

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Norvegia. Diario di viaggio. Prima parte

PAROLA D’ORDINE: K-WAY. TRA OSLO E BERGEN

Un viaggio non inizia sempre con una partenza. È il pensiero. L’intenzione di… Allora, quando credi di aver programmato tutto (zaini, prenotazioni, tempo), capisci che le idee, quelle, non puoi prepararle.

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Oslo la affrontiamo di prima mattina, in cerca del primo cibo. Sono sorpreso nel vedere la quantità di persone perse agli angoli della strada, di zingari accampati nei prati, della silenziosa confusione che aleggia nelle larghe strade. Forse nella mia testa mi aspettavo di vedere uomini barbuti e donne prosperose. Ma con il tempo sto imparando ad apprezzare anche questo lato delle città, tra i suoi alternativi odori e i suoi amici immaginari.

20 kg sulle spalle iniziano a farsi sentire dopo circa 10 minuti.. E dopo un’ora? Due? Tre? Inizio a pensare che 15 mutande siano troppe (nota da aggiungere al prossimo viaggio). La giornata ad Oslo si conclude con una chiacchierata random con un tizio che capisco subito essere un poliziotto in borghese. È molto simpatico. Gli offro un muffin ai mirtilli. Alla fine gioco un po’ a fare Sherlock Holmes, salutandolo gli auguro buon lavoro e lui si ferma un secondo, sorride di gusto e mi ringrazia sorpreso.

Dopo questa breve parentesi, che ancora mi da pacche sulle spalle, prendiamo il treno verso Bergen. Ore di viaggio: 7. Dicono che sia il treno più bello del mondo, o almeno la sua tratta. Passo il tempo a contare le gallerie che percorre e a maledire il momento in cui ho scelto di sedermi sul lato destro del vagone: ovviamente tutto il paesaggio era sul lato sinistro. Passo quindi il restante tempo a molestare un ragazzo seduto nella parte sinistra per poter scattare una foto decente che non sia una parete di una montagna.

Il treno ha percorso il suo lento cammino verso Bergen passando per monti pieni di neve. Il panico mi assale leggermente, visto che non viaggio con attrezzatura da neve. Laghi, fiumi, cascate. Poi si arriva a Bergen. Di notte, sotto la pioggia. Una pioggia continua in una città deserta. Camminiamo per 15 minuti e ci perdiamo in un villaggio di pescatori in cerca del nostro letto. Letto che troviamo in cima a due rampe di scale così piccole che devi fare testamento ogni volta che le prendi. Una casa fatta a misura d’uomo. Ma uno. Il problema è quando sei tre persone a viverla.

Il padrone di casa è un rockettaro; non ho ben capito se le chitarre appese le suona o le usa per attirare bionde o rosse donzelle attratte dalla musica. Forse entrambe. Le donzelle, dico. Mi ritrovo il giorno dopo in una città governata da gabbiani e salmone affumicato. Case in legno e navi da crociera. Ho visto più tedeschi a Bergen che a Berlino. La città, sotto la pioggia, è comunque vivibile. Il mio k-way mi salva da qualche imprevisto ma devo dire addio alle scarpe e calzini. Un piccolo battello con un uomo barbuto (finalmente!) attira il mio sguardo e la mia macchina fotografica. Mi convince con la sua voce incerta a prendere la sua nave (un piccolo battello grande quanto una alfa 156), e lui, fiero come se governasse un transatlantico, si destreggia sulle piovose acque norvegesi. Gli scatto qualche foto, gli faccio un video. E lui è li, con la sua barba bianca e il suo piccolo timone. La giornata passa così, tra foto, pioggia, salmone affumicato, gabbiani.

[… il viaggio continua …]

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