Intervista con il giovane regista e drammaturgo Pablo Solari, che ha aperto la stagione del Teatro i di Milano con lo spettacolo L’indifferenza: una lotta metaforica tra il progresso della civiltà occidentale e la sua natura bestiale e sanguinaria.

L’azione si svolge in una cornice contemporanea, che sfida il realismo, proiettando attori e pubblico in un mondo interiore in cui verità e finzione si confondono e in cui i personaggi, tra vendette e ossessioni, sono costretti a fare i conti con la propria natura, imperfetta e pericolosa.

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Luca Mammoli, Woody Neri e Valeria Perdonò sono gli efficaci protagonisti di un gioco al “massacro” che si consuma in un’atmosfera urbana contemporanea, affidandosi a registri interpretativi di ispirazione cinematografica.

In questa intervista, il regista e drammaturgo Pablo Solari (classe 1989), che nel suo percorso professionale si divide tra Lima (Perù) e Milano, offre una serie di interessanti spunti di approfondimento sulle tematiche affrontate nello spettacolo.

In questo testo, il percorso dall’indifferenza al tradimento appare tormentato, ma breve: come hai affrontato, a livello drammaturgico, queste tematiche?

La trama dello spettacolo assume la forma del classico triangolo amoroso: c’è una coppia, formata la cui storia d’amore avrebbe bisogno di una scossa per ripartire, perché ormai è alla fine; e c’è un ospite inatteso e misterioso, che costringe il padrone di casa a fare i conti con un passato impossibile da dimenticare.

Questa storia diventa il pretesto per parlare di una sorta di “storia d’amore dell’Occidente”, che in un momento di crisi, come quello che stiamo vivendo, ha bisogno di un turbamento per ripartire… ma verso dove? Questo non si può mai sapere.

L’unica cosa certa è la necessità, comune a tutti, di riaprire le ferite per capire chi siamo veramente, perché abbiamo dimenticato chi eravamo.

Come si colloca il sentimento dell’indifferenza in questo percorso drammaturgico?

L’Indifferenza non è solo il titolo, ma rimane il tema centrale dello spettacolo e lo ritroviamo soprattutto nel rapporto di coppia tra Franco e Anna, che compiono un percorso di verità, che li porta a spogliarsi (metaforicamente) delle sovrastrutture che si sono creati per sopravvivere nella società, cercando di sopraffare la propria natura, che comunque riemerge sempre.

Non si può rimanere indifferenti a quello che si è.

Un ulteriore aspetto drammaturgico molto interessante dello spettacolo è il suo substrato biblico, evidentemente voluto…

Assolutamente. L’Antico Testamento è stato il punto di partenza per l’impianto drammaturgico dello spettacolo: mi sono chiesto come l’essere umano abbia cominciato a rapportarsi con l’esistenza di Dio. Poi si può credere o non credere, ma essere cristiani, ad esempio, fa ormai parte del DNA della cultura occidentale.

In questo caso, ho attinto soprattutto dall’Antico Testamento e, leggendolo, mi sono accorto che si rivolge all’uomo in maniera quasi brutale, molto fisica, anche se Gesù, inteso come incarnazione del Dio vivente, non era ancora apparso.

Qual è stato il percorso registico che hai compiuto con gli attori in scena?

I tre protagonisti hanno sposato fin da subito il progetto, proprio per le tematiche affrontate, verso le quali provavano molto interesse. I percorsi degli stessi personaggi sono stati poi modificati rispetto alle esigenze degli attori.

È stato faticoso sprofondare in queste tematiche, ma si è rivelata una fatica bella, mai nevrotica.

Si potrebbe affermare che, nello spettacolo, il tradimento è ritenuto qualcosa di necessario?

Assolutamente, perché siamo in teatro, che forse è il tradimento più necessario e bello che possa esistere rispetto alla vita stessa.

Probabilmente Franco e Anna avevano bisogno di tradire uno schema che non gli apparteneva più.

La scenografia è uno degli elementi di maggior impatto di quest’allestimento: qual è il rapporto tra la struttura in secondo piano sul palcoscenico e il tavolo al centro della scena?

Un rapporto materico, perché è la materia stessa che definisce il linguaggio, in questo caso. Ho chiesto alla scenografa Maddalena Oriani di fare delle ricerche industriali, su materiali che non fossero definitivi, come degli “scheletri”.

La struttura scenografica è in policarbonato, un materiale molto povero, ma che allo stesso tempo ha una capacità riflettente che definirei torbida.

L’Indifferenza sarà in scena a Milano fino al 28 ottobre, per poi spostarsi al Teatro Piccolo Orologio di Reggio Emilia dal 2 all’11 novembre.

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