Rosso Venerdì, in scena al Teatro Rossetti di Trieste da ieri fino al 22 novembre, è uno spettacolo che ha bisogno dei suoi tempi per apprezzarne tutte le notevoli sfumature e le scelte registiche di Igor Pison e scenografiche di Petra Veber che si rifanno all’immaginario pittorico di David LaChapelle.
La vita è un amore difficile
Lo spettacolo della Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia ha debuttato con successo al Festival di Asti questa estate.
Venerdì Santo. All’ingresso in sala gli attori si presentano tutti in scena intenti a dormire sonni più o meno agitati, solo un Angelo (Filippo Borghi), ridotto a tassista, si sta scaldando per prepararsi alla sua missione giornaliera. Ma è un angelo a cui hanno tagliato le ali, e quindi che non ha la capacità per migliorare l’esistenza degli altri, può solo osservare.
Ma chi sono i personaggi ? Abbiamo un venditore di aspirapolveri (Riccardo Maranzana), debole e frustrato. Lo ritroviamo, disperato per l’abbandono da parte della sua amante Maddalena, ai piedi del Monte Calvario intento a sbirciare le coppiette e la preparazione dell’esecuzione del condannato.
Il venditore ha una famiglia: una moglie, una bambina in fasce ed una madre.
La moglie (Ester Galazzi) con un marito reso incapace di reagire tutto preso dalla propria deprimente esistenza, regge sulle sue spalle tutto il peso della famiglia: un colloquio di lavoro reso ancora più complicato dalla necessità di portarsi dietro la neonata febbricitante, il dover accudire, senza aver la possibilità di opporsi, la suocera malata di Alzheimer (Maria Grazia Plos) che scappa di casa e nessuno sa dove trovarla.
Ha anche un fratello (Adriano Braidotti) che all’apparenza sembra uno tosto, uno che sa sempre cosa fare, invece è solo uno che si vende bene perché poi, alla fine, per vivere fa il ladro.
Al colloquio di lavoro ad attenderla c’è il produttore di calzature (Andrea Germani) ossessionato dal lavoro, che non dorme da giorni, preso dalle sue mille manie e paure che, colmo dei colmi, morirà d’infarto nell’unico momento di svago delle sue giornate, il riposino pomeridiano.
Infine ci sono due personaggi che attraversano il tempo: Simon Pietro (Francesco Migliaccio) che continua, fedele al suo ruolo, a
rinnegare anche se sopraffatto dai rimorsi e l’ambulanziera (Federica De Benedittis) salvatrice di anime e dispensatrice dell’acqua, fonte di vita e purificazione.
E’ un monologo a più voci
così lo definisce Roberto Cavosi, autore del testo. Ed in effetti è singolare ma affascinante la scelta drammaturgica di far esprimere i personaggi tramite monologhi, senza mai contatti con gli altri, senza mai arrivare ad un dialogo. Ma i personaggi non si ignorano, semplicemente non si parlano.
Sembra un concerto di jazz fatto di assoli, ognuno con la sua struggente melodia, con il pathos spinto all’estremo, con accordi volutamente discordanti ma che nel loro insieme creano un concerto appassionante, visto che di Passione si tratta, una Passione contemporanea, fatta di piccoli calvari quotidiani, cui l’autore lascia la luce di una speranza finale quando i protagonisti si prendono per mano in attesa che il sole torni a splendere.
Qualcuno all’uscita ha detto
E’ uno spettacolo che fa venir voglia di fare l’attore
Ci agganciamo a questa affermazione, che condividiamo, sottolineando la capacità di un Teatro, il Rossetti, che dovrebbe essere di esempio per molti nel nostro Belpaese. Un teatro che “osa” proporre spettacoli non semplici, senza grandi nomi, fatto con i giovani, ed ottimi, attori della Compagnia del Teatro Stabile ed affidati a registi, nel caso Igor Pison, che hanno una visione magari anche visionaria ma lasciando almeno in tal modo la capacità al pubblico di decidere cosa piace e cosa non.
Ah si, molti diranno ma bisogna guardare gli incassi … discorso sacrosanto… ma ieri la sala era stracolma ed il pubblico era il più variegato possibile tra i 20 ed i 90 anni di età.
Quindi è uno spettacolo che fa venir voglia di fare l’attore, ma anche lo spettatore.