La regista Serena Sinigallia: “Guardare ad essa è come guardare a Medea, a Edipo, a Baccanti, con la sola differenza che quanto qui viene narrato è accaduto davvero. E, forse, potrebbe ancora accadere…”

- Advertisement -

Obbedire o prendere l’iniziativa? Guardare o agire?

Sono dei tableau vivant che si animano con le sapienti mosse di Arianna Scommegna e Mattia Fabris, diretti da Serena Sinigaglia, a rievocare sul palco milanese del Franco Parenti la strage norvegese di Utøya, nello spettacolo omonimo. A dieci anni esatti di distanza il Teatro indaga su una delle vicende di cronaca più gravi che abbia colpito l’Europa, con una produzione ATIR Teatro Ringhiera/Teatro Metastasio di Prato e il patrocinio della Reale Ambasciata di Norvegia in Italia.

22 luglio 2011: Anders Behring Breivik compie due attentati, al Palazzo del Governo ad Oslo e sullʼisola di norvegese Utøya, dove era in corso un raduno di giovani del Partito Laburista. Perdono rispettivamente la vita 8 e 69 persone, tra cui ragazzi tra i 12 e i 20 anni. Il testo di Edoardo Erba, scritto con la consulenza di Luca Mariani, autore del libro Il silenzio sugli innocenti, indaga la natura e lʼorigine di questo oblio.

Nel racconto intrecciato, non privo di ironia amara e pervaso da un sottile “dilemma della scelta”, vediamo la storia di tre coppie, legate in modo diverso a quanto accadde durante quel giorno terribile e interpretate tutte da Scommegna e Fabbris: marito e moglie, genitori di un’adolescente obbligata dal padre ad andare al campus; due poliziotti in servizio sulla sponda di fronte all’isola; fratello e sorella, proprietari di una fattoria che confina con la casa di un “troll”, un individuo sospetto che si scopre poi essere proprio il killer Breivik. Le loro vicende sono il mezzo che permette di scavare a fondo nelle ragioni stesse della violenza come manifestazione di disagio, entrando nelle crepe di una società impossibilitata a prevenire questi atti perché incapace di connettere il tessuto sociale.

“Scrivere un testo su quanto è avvenuto a Utøya è un’impresa impegnativa. Il Teatro non è il luogo della documentazione e dell’informazione in primis, è la sede di una riflessione. E la riflessione su un avvenimento del genere sconcerta: non è un gesto di follia, ma contemporaneamente lo è. Non è cospirazione politica, ma contemporaneamente la è. Non è un esempio di inefficienza dei sistemi di difesa, e tuttavia lo è. Non è un caso di occultamento dell’informazione, però lo è” – commenta l’autore del testo, Edoardo Erba.


“Ciò che il Teatro, anzi la mia scrittura teatrale, può fare dentro questo labirinto è trovare dei personaggi che lo percorrano e che ce lo restituiscano attraverso il filtro della loro personalità e dei loro rapporti. Così con Arianna, Mattia, Serena e Luca, compagni in questa avventura, abbiamo scelto di tornare là, in Norvegia, quel terribile 22 luglio del 2011, a osservare tre coppie coinvolte in modo diverso in quello che stava accadendo. Attraverso di loro ho spalancato una finestra di riflessione, che se non ci da tutto il filo per uscire da quel labirinto, per lo meno a sprazzi, ne illumina alcune zone oscure con la luce della poesia”.

Fotografie di Serena Serrani

- Advertisement -

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.