DEATH NOTE: perché continuiamo a fare (e guardare) pessimi adattamenti di ottimi fumetti

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L’adattamento cinematografico di Death Note è brutto.

Per i fan del fumetto originale questa non arriva certo come una sorpresa. Anzi, già alla notizia iniziale che un’opera della complessità di Death Note sarebbe stata riadattata in un film da un’ora e quaranta si era diffusa la preoccupazione.

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E tralasciando l’evidente infattibilità narrativa dell’operazione -per chi conosce la storia originale- ormai sembra non essere solo più una questione di cosa sia possibile adattare, quanto del fatto che in primo luogo viene adattato.

L’inondazione di adattamenti

È innegabile infatti che nel cinema degli ultimi vent’anni -e in particolare recentemente- siamo stati inondati di pessimi, terribili, atroci adattamenti tratti da materiale originale spesso pregevole.

Se un pezzo di cultura pop verrà riadattato in forma filmica verrà massacrato:  questa è diventata una regola non scritta del cinema contemporaneo.

Ecco, io credo che se vogliano indagare le ragioni di questo trend dobbiamo prima capire cos’è che rende Death Note un film brutto,  sia per chi conosce il fumetto originale, sia per chi non l’ha mai sentito nominare.

Cos’è Death Note

Per i non addetti ai lavori, Death Note è un fumetto giapponese  di inizio anni 2000 destinato a un pubblico Young Adult, spesso considerato uno dei cult della nona arte dei nostri tempi.

La trama ruota intorno a Light Yagami, un giovane e brillante studente giapponese che possiede una visione estremamente cinica del mondo, diviso in due categorie: gli oppressi e gli oppressori, che in quanto tali meritano solo la morte.

E quando viene in possesso di un quaderno magico che ha il potere di uccidere qualsiasi persona il cui nome vi venisse scritto sopra, decide di usarlo per epurare il mondo dai criminali, assumendo in breve l’identità di Kira, un giustiziere che destinato ad essere venerato da parte della popolazione mondiale come il Dio del Nuovo Mondo.

Per fermare l’operato di Kira si attivano però i servizi segreti mondiali e in particolare un intelligentissimo detective conosciuto con lo pseudonimo di L.

Finito lo spiegone, prendete l’interra sinossi dell’opera originale e buttatela: nel film non serve.

Il fumetto ai suoi tempi diventò in breve un successo straordinario per la capacità con cui riusciva a combinare un thriller psicologico da ritmi narrativi serratissimi, allo svisceramento di  discorsi di natura morale e filosofica di una certa importanza- come la differenza tra giustizia umana e divina, cosa significava per un uomo farsi carico del ruolo di giustiziere divino e l’importanza dei mezzi per il fine della creazione di un mondo di pace.

Il fumetto risultava brillante proprio nel discutere questi punti senza mai esplicitamente prendere una parte e ancora oggi (ad anni dalla sua conclusione) avvengono discussioni su da che lato stesse la ragione.

Tornando al film però, Light Turner (il nostro protagonista americano) trova un quaderno che ha il potere di uccidere la persona il cui nome viene scritto sopra.

Nei primi venti minuti lo usa per uccidere il pirata della strada responsabile della morte della madre.Per il resto del tempo lo utilizza per fare colpo sulla cheerleader di cui è infatuato e che (a quanto pare) ha una passione feticista per gli omicidi.

Un detective di nome L prova a catturarlo, non ce la fa. Fine. Titoli di coda.

Il paragone è impietoso.

L’occidentalizzazione dell’adattamento ha fatto perdere alla trama alcuni dei suoi punti principali.

Ogni personaggio non possiede più nulla della sua caratterizzazione originale e delle sue motivazioni e – fatto ancora più grave – tutti sono stati instupiditi per poter permettere lo scioglimento di una trama stupida (davvero , non trovo altro modo per definirla).

E quando l’intelligenza dei tuoi personaggi deve essere abbassata perché nessuno di loro faccia domande su quello che sta avvenendo sai che hai un problema di sceneggiatura.

I temi dell’opera originale sono stati cancellati in toto, trasformando il protagonista da personaggio moralmente problematico (dio ce ne scampi da avere un anti-eroe come protagonista, il genere teen non è pronto a tale complessità) a una macchietta piatta, banale e stupida (questo aggettivo mi ritorna sempre in mente).

I duelli mentali dei due protagonisti e il thriller psicologico è stato sostituito da romance adolescenziale di una insipidezza da strappa mutande, da imperdibili cliché americani come il ballo scolastico o la sequenza di inseguimento e da un gusto per l’orrido che vorrebbe essere splatter, ma finisce solo per risultare ridicolo.

Ma il film com’è ?

Ma allontanandoci da ciò che l’adattamento perde dell’originale, valutiamolo ora come film a sé.

I dialoghi sono sofferenza. L’elemento paranormale è usato dalla sceneggiatura come espediente con cui convenientemente risolvere buchi di trama, riuscendo ugualmente a contraddirsi in modo plateale e alla fine concludersi in uno spettacolare-  per quanto comodo-  deus ex machina.

La recitazione mette i brividi (con la notevole eccezione di Willem Dafoe) e in alcuni punti è così comicamente terribile da privare di  qualsiasi credibilità rimasta la sceneggiatura.

L’unica cosa che si salva (a stento) sono la regia e gli effetti visivi, che anche se non eccezionali, non sono così sfacciatamente atroci come il resto. Certo non aiuta che la colonna sonora sia sbagliatissima in quasi ogni sua scelta e che il tutto sia spesso illuminato da una fotografia al neon fuori luogo.

Ma queste sono cose che in mille altri stanno scrivendo in questi giorni, perché il giudizio obbiettivo su questo film è semplicemente che è brutto, variando sul tema da mediocre a terribile- e la prova di questa obbiettività risiede nel fatto che scavando ogni recesso dell’internet non si troverà una sola recensione che vada oltre il ‘mediocre’.

La questione interessante da affrontare è: perché lo abbiamo girato (e guardato)?

Considerando il fatto che ormai questo genere di film- riadattamenti di famosi fumetti e videogiochi- sono flop garantiti, film che distruggono carriere –pensando per esempio all’infamante Dragon Ball Evolution e mettendo in conto eccezioni notevoli come Deadpool – perché i produttori continuano a spenderci delle risorse?

La risposta sembra essere tanto cinica quanto logica. In queste ore tutti si stanno impegnando per discutere il grado di inadeguatezza di questa pellicola (critica ufficiale e non), implicando una verità semplicissima: tutti lo abbiamo visto.

È per me ormai diventata una verità conclamata che a nessuno importa veramente di trasporre un’opera di questo genere mantenendone lo spirito, ne tanto meno facendolo in modo dignitoso. Viva la scrittura pigra. Viva il casting insensato. Viva la fiera del cliché.

Perché puntare su una sceneggiatura originale e spendere di marketing, quando puoi vivere sulle spalle di un brand già esistente?

Perché mettere impegno in un prodotto che si autopublicizza solo con i post indignati sui social?

Negli ultimi anni  l’industria cinematografica ha visto nella crescente diffusione di fenomeni prima di nicchia- come il fumetto e il videogioco- un nuovo splendido bacino demografico da sfruttare e ha iniziato quindi la produzione massiva di film che probabilmente saranno mal ricevuti da tutti, ma che lo stesso verranno visti in massa, quasi certamente solo per essere demoliti in blog sconosciuti su tutta la stratosfera del web (ah, l’ironia).

È la nuova frontiera del capitalismo cinematografico, è un parassitismo narrativo che vive di adattamenti, reboot, remake e remake dei remake.

È triste, ma finché continuerà a fare cassa vivrà.

E la notizia che già è in programma un sequel nonostante le recensioni negative è la conferma che la qualità non c’entra niente con il prodotto.

Nell’era digitale la visibilità fa girare il mondo, non importa se negativa o positiva. E lo show business non è immune da questa logica.

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